Egregio
Direttore, con gli amici carissimi colleghi.
Il
30 Maggio del 1966, Tonino Dapoto, Vittorio Sabia, Lino Viggiani, Raffaele
Garramone, Franco Corrado, Luciano Carpelli, Ferdinando Moliterni, Pasquale
Daraio, Nicola Perri e Biagio Lacentra creammo i presupposti per la nascita
dell'Associazione provinciale della Stampa lucana entrando a far parte del
primo consiglio direttivo. Sono trascorsi 45 anni. Oggi,come allora, credo che
i giornalisti rappresentano una corporazione, il cui principale obiettivo debba
essere il dovere di difendere la società dai soprusi e dalle ingiustizie. E che
tale dovere potrà essere compiutamente esercitato soprattutto quando si è
uniti, legati da spirito concorde e comune visione. E' vero: non sempre lo
siamo stati. Oggi però, come uno dei decani del giornalismo lucano, vi invito
per la prima volta nella nostra storia a superare i naturali momenti di
divisione ideologica e culturale, per diventare un corpo unito e compatto in
difesa dei lucani, delle loro famiglie, del futuro dei nostri giovani. In
difesa del territorio lucano, perché il suo petrolio e la sua acqua, da fonte
di ricchezza sono diventati fonte di corruzione. E' in atto un feroce
tradimento ai danni del popolo lucano, che solo i giornalisti, per la prima
volta uniti, potranno respingere salvando così le attese di quanti -e sono
tutti- avvertono che sul petrolio e l' acqua lucana si sta assistendo ad un
vero e proprio assalto alla dirigenza. Affermo ciò, e ne sono convinto, perché è
pervenuta nella redazione del settimanale del quale sono editorialista, una
lettera firmata da un tecnico della materia in esame, che non ritengo opportuno
pubblicare in esclusiva, poiché in essa è contenuto un appello a tutta la
stampa, e che pertanto sottopongo all'attenzione dei direttori e dei colleghi
giornalisti, nella certezza che coglieranno la drammaticità del contenuto. Con
il titolo "Cui Prodest" questa la lettera che trascrivo integralmente,
invitandovi a pubblicarla unitamente alla mia lettera.
Nel
corso della settimana si terranno una serie di incontri su una delle tante
risorse lucane: il petrolio, per definire le nuove intese tese a riverberare
sulle comunità indigene i riflessi positivi dell'oro nero che, attualmente,
contribuisce in misura del 15% alla bolletta energetica nazionale ed il cui
peso nei prossimi anni crescerà fino a circa il 25-30%.
Se
solo si considerasse che la Libia contribuisce per circa i 20% alle
importazioni petrolifere nazionali, ci sarebbe da pensare che il governatore
lucano debba essere ricevuto con onori maggiori dell'ormai ex dittatore libico.
Certo,
ed è amaro constatarlo, una sorta di similitudine, prima dei tristissimi fatti
di sangue di Tripoli, tra il popolo libico e quello lucano sembra esistere; la
gestione della cosa pubblica in mano allo stesso partito da oltre 65 anni, il
reddito pro capite tra i più bassi della nazione, il tasso di disoccupazione
tra i più alti della nazione come pure l'emigrazione, la disoccupazione
giovanile, femminile, ecc.
E...
allora: cui prodest?, ossia a chi
giova o a chi ha giovato la presenza del petrolio in Basilicata? Non certo alla
comunità lucana a quanto pare; certamente alla compagnie petrolifere,
certamente ai politici che chiudono un occhio sulla quantità di barili estratti
dalle stesse compagnie, certamente, ancora a quei loschi figuri che hanno
concluso accordi locali e nazionali sul prezzo da riconoscere alle comunità
lucane per la coltivazione di idrocarburi i cui effetti si possono vedere sulle
piantagioni della ex verde val d'Agri la cui economia in termini agricoli è in
via di distruzione.
E
allora gli incontri prossimi a tenersi cosa tratteranno ancora?! Come occupare
economicamente altri ambiti territoriali della nostra regione? È noto infatti
le richieste di dati avanzate da società americane (almeno nei nomi, un po'
meno negli interessati palesi od occulti), per il territorio dell'alto Bradano
a cui seguirà certamente anche parte del Metapontino e poi sarà la volta di
altri ambiti territoriali, perché di una cosa si può essere sicuri, che la
Basilicata è su un mare di Petrolio quasi fosse l'Arabia Saudita solo che
mentre gli arabi pretendono petrodollari per le loro estrazioni i lucani si
accontentano, grazie ai loro governanti locali e nazionali, di pochi centesimi
di euro (meno di quanto viene corrisposto a paesi del terzo mondo) e sono anche
disposti a sorbirsi i rifiuti delle trivellazioni perché è evidente che per
emungere petrolio bisogna scavare da 5 a 7 mila metri nelle viscere della terra
e rimuovere il materiale ivi presente il quale contiene metalli pesanti, e
pericolosamente inquinanti se non tossici e quindi pericolosi per la salute
delle comunità.
Infatti,
in analogia con l'ignoranza sul numero dei barili estratti anche i fanghi
rinvenienti da estrazioni non è noto che fine abbiano fatto, dove siano stati
smaltiti, con quali procedure e quale certificazione sulla non pericolosità
rispetto all'ambiente ed alle falde acquifere.
E
con l'acqua si apre un altro triste scenario che si sta trascinando da
decenni:con l'acqua lucana si irrigano i territori pugliesi e si dissetano
quelle comunità fornendo ad acquedotto Pugliese la risorsa idrica accumulata
nelle nostre dighe, e, ironia della sorte i cugini pugliesi, non solo fondano
buona parte del loro reddito sull'acqua lucana ma pagano anche meno l'acqua
potabile rispetto a quanto la pagano i lucani.
Ritornando
poi indietro con la memoria ci si ricorderà di come anche l'acqua lucana era
gestita dai pugliesi fino ad un decennio fa grazie all'Acquedotto Pugliese con
sede in Bari. Ai lucani toccavano le briciole e qualche acquedotto colabrodo in
cambio di tanto oro blu.
Sempre
da circa un decennio, si è definito che la Puglia ristori i lucani dei costi
ambientali sostenuti per accumulare l'acqua nelle dighe ma, detto che non è
noto se siano mai stati pagati e quanto sia stato corrisposto dai Pugliesi, non
è da escludere che questi ultimi possano pensare di ripetere quanto già fatto
in passato con Acquedotto Pugliese ossia gestire le leve delle risorse lucane
facendo gravare agli stessi lucani gran parte dei loro costi senza
corrispondere un bel niente.
Certo
perché ciò avvenga è necessario, come per il petrolio e i rifiuti delle
trivellazioni, che vi sia la complicità o l'ignavia della classe politica e
della classe dirigente lucana che pur di contrarre qualche utilità personale si
disinteressi del futuro delle generazioni a venire e allora è necessario che la
società civile, la gente libera da condizionamenti e la stampa in particolare,
faccia sentire la sua voce, eserciti la vigilanza, senza mollare mai la presa
sostituendosi a quella classe politica di ogni colore, sempre più attenta ai
propri conti in banca che alle nostre comunità in attesa, appena possibile, che
il giudizio degli elettori lucani li trascini via come il turbinio dell'acqua
negli scarichi sanitari.
Lettera
firmata
Sul contenuto della lettera del
tecnico, cari colleghi, lascio a voi le dovute conclusioni. Da parte mia
l'invito a tutti di cogliere l'appello finale in essa contenuta, affinché i
giornalisti lucani, per la prima volta nella loro storia, promuovano un'azione
comune da concordare affinché si eserciti la vigilanza senza mollare mai la
presa.
Cordialmente
Saro
Zappacosta
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