Antonio Cassavia ha fatto parte del contingente italiano a Nassiriya
marted́ 18 novembre 2003

Tursi - Abbiamo incontrato il graduato ventiquattrenne Antonio Cassavia lunedì sera, nella casa dove vive con i genitori, Giuseppe, ex sindaco, e la maestra elementare Agnese Crispino, mentre in tv scorrevano le immagini del Vittoriale, con i tantissimi italiani a rendere omaggio alle vittime dell'orribile attentato terroristico in Iraq. Partito a giugno con il primo contingente italiano, "quando bisognava approntare praticamente tutto, stabilire contatti e rapporti, ed iniziare una nuova esperienza in terra straniera", il sottocapo (caporal maggiore scelto) della Legione di San Marco della Marina Italiana, da tre anni "special marines" di stanza a Brindisi, è rientrato in ottobre per un normale programma di avvicendamento dei diversi reparti operativi proprio da Nassiriya. La palazzina distrutta e in seguito saccheggiata, era abituale luogo di frequentazione per ragioni di servizio, mentre il suo reparto era ed è alloggiato nelle immediate adiacenze, a poche decine di metri. Con dignità e sincera partecipazione al dolore delle diciannove famiglie, ci risponde con serenità e franchezza, dopo aver chiesto "per eccesso di scrupolo" ed ottenuto "con immediatezza" il nullaosta dei superiori gerarchici.

 

In Iraq era volontario alla prima missione?

Si. I primi due mesi nel Golfo Persico e poi sempre a Nassiriya, nel campo base di W.H.

Dopo l'arrivo e la sistemazione,  in cosa consisteva il quotidiano lavoro?

Con temperature elevate intorno ai 55-60 gradi, tranne nei turni di notte, essenzialmente si fa pattugliamento motorizzato o appiedato, controllo della popolazione civile e dei centri abitati, ceck-point, requisizione di armi, ispezioni nei centri commerciali, sostegno ai civili in difficoltà.

Quanti eravate?

La legione di appartenenza comprendeva 150 militi, ma appoggiavamo il settimo reggimento Cosenza della Brigata Garibaldi, giunta qualche giorno prima. In totale c'erano tremila connazionali.

Conoscevi bene e frequentavi la realtà del luogo dell'attentato?

Nella palazzina vi era il quartier generale e la sede del Msu dei Carabinieri, e tra l'altro vi si svolgevano importanti riunioni di alti rappresentanti delle interforze multinazionali con i ricchi sceicchi di etnia sciita, da sempre contrari al dittatore Saddam, per la gestione dell'Iraq meridionale. Il mio compito, con altri evidentemente del reparto speciale, era quello di accompagnare per diversi giorni alla settimana il generale Santini, comandante di tutte le operazioni in Iraq.

Ma l'attentato non ha trovato soldati di altre nazionalità sul posto...

Perchè l'obiettivo eravamo noi italiani.

Fino al tuo rientro, avevi avuto quale impressione degli iracheni della città?

Non erano ostili, ma hanno manifestato sempre una forma di contrarietà alle nuove regole, allo stile di vita occidentale, che loro identificano con il modello statunitense e che ritengono si voglia necessariamente imporre, creando così una sorta di conflitto interiore con la loro concezione "coranica", pur non volendo fermamente un ritorno a forme di dittatura.

E questa avversione da cosa la percepiva?

Dalla protesta che si manifestava in ogni circostanza, più o meno apertamente.

Ultimamente le cose erano cambiate? Si aveva sentore di un peggioramento dei rapporti?

No, tutto continuava nella calma apparente di sempre. Tant'è che ogni momento era buono per creare disordine e disservizi, quasi una sorta di boicottaggio sistematico da noi chiaramente avvertito. E' come se la popolazione temesse ancora genericamente Saddam, con un condizionamento psicologico che non fa escludere un suo improbabile ritorno. Insomma, gli sciiti sono infinitamente grati alla coalizione che li ha liberati  dal tiranno, ma al contempo vorrebbero che andasse via subito, per decidere loro come vivere. E questo messaggio è da loro fatto capire sempre e con chiarezza.

Momenti critici.

Si è sempre a rischio con gli affollamenti, anche se festosi (come nei matrimoni che si spara apertamente) o di tipo religioso (nelle processioni del venerdì, il loro giorno festivo, l'esaltazione è massima con l'autoflagellazione), perchè è più facile per gli eventuali attentatori confondersi.Oppure la domenica, nel campo sportivo, quando i locali consegnano le armi dietro compenso.

Il più brutto.

Certamente allo stadio, durante l’ultimo pagamento mensile degli ex soldati dell'esercito iracheno, a seguito dei tafferugli originatisi perché alcuni ‘alibàba’ (i ladri) si spacciavano soldati senza esserlo e una volta scoperti hanno dato il via agli scontri, con urla, spintoni e sassate, causando la morte accidentale di un interprete nostro collaboratore per mano della 'amica' polizia irachena, sentitasi accerchiata.

Ha conosciuto qualcuna delle vittime?

Con alcuni abbiamo solo lavorato insieme, anche pattugliando.

Si aspettava un attacco così funesto?

Assolutamente no. Dagli abitanti di Nassiriya proprio no.Commenti questo lutto nazionaleAbbiamo provato tutti commozione vera e vicinanza ai ragazzi, e per chi sta lontano ciò è confortante non poco. Il nostro contributo lo diamo rischiando e anche attraverso le perdite. Andare via adesso significherebbe vanificare il loro sacrificio e manderemmo il messaggio che coloro che hanno liberato quei luoghi, sono oggi impotenti a migliorare la situazione.Ma non è questo che vuole la popolazione irachena?Si è vero, ma è una contraddizione che anche loro vivono.

Se avrà la possibilità, accetterà ancora missioni di pace all’estero?

Sono in attesa di ripartire per la Bosnia e poi di far ritorno sul suolo iracheno.

 

Salvatore Verde