Omaggio alla famiglia Capitolo
domenica 30 dicembre 2012

Omaggio alla Famiglia Capitolo di Tursi

Image È deceduta il mese scorso a Roma la signora Anna Cascella. Un nome che ai tursitani di oggi non dirà quasi nulla. Ma a qualcuno si, per fortuna; di certo a coloro che hanno una certa età o frequentazioni di storia di Tursi, il nostro amato paese, con il quale la signora Anna ha avuto un legame sentimentalmente profondo e non superficiale.

L'anziana donna, novantacinquenne, spentasi all'improvviso ma serenamente  nella sua abitazione del bel quartiere Monteverde della capitale, era la moglie, ormai vedova da oltre mezzo secolo del prof. Guido Capitolo (Tursi 05.9.1906 - Udine 09.01.1960), docente e preside nelle scuole superiori del Friuli Venezia Giulia. Dal cognome del marito credo che davvero solo in pochi non colleghino la sua vita alle vicende di una delle più importanti famiglie tursitane, dalla fine del Settecento al Novecento, che sta per estinguersi definitivamente.

Image Guido aveva insegnato a lungo nei licei, con indiscusse capacità, professionalità e umanità, ed è autore di racconti brevi (tra gli altri: "La felicità", "La cipollina", "L'inferno è per i galantuomini", "Le grandi foreste e i poponi", "La vita come sogno") e di poesie (la raccolta "Preludi. Versi" è del 1927, con la prefazione della zia Maria Carmela Giuseppa Antonia Domenica Vincenzina Ayr, docente di Lettere, saggista, poetessa, probabilmente la donna più importante nella storia millenaria di Tursi, dove era nata il 21 novembre 1873, morta poi a Roma il 7 maggio 1958).Nella scheda redatta dal Liceo di Udine (proveniente dall'archivio del poeta Vincenzo Alberto Di Noia,  a suo tempo fornitaci tramite il fratello Salvatore Armando Di Noia, Tursi, 04/4/1935 - 16/02/2011) si sottolinea:

"Guido Capitolo studiò nel Convitto Nazio­nale di Matera, conseguì nel 1925 la maturità classica a Potenza e si laureò in filosofia presso l'Università di Napoli nel Novembre del 1929 discutendo la tesi « La filosofia storica nel secolo XVI in Fran­cia», tesi che fu poi pubblicata nella collana di letture filosofiche di­retta da A. Aliotta presso l'Editore Perrella in Napoli. Insegnò nel Liceo di Matera e vinse la cattedra di storia e filoso­fia dapprima nel Liceo pareggiato "Ovidio" di Sulmona e poi, sempre in seguito a concorso, nei Licei dello Stato e fu assegnato al Liceo Scientifico di Udine nell'ottobre del 1935. Da quell'anno fino ai primi giorni del 1960, per cinque lustri - grande mortalis aevi spatium! - svolse la sua attività ininterrottamente nel nostro Liceo, come docente e come Preside, e sempre co­me educatore, perché dell'educatore ebbe il pathos umano e la ge­nialità artistica". Guido, intellettuale "libero, amato e stimato nel mondo in cui viveva, una leggenda della scuola udinese, ha scritto Valentino Castelllani, prestigioso sindaco di Torino", aveva collaborato con Piero Calamandrei e lasciato un segno di rettitudine, moralità e discrezione.

Guido era fratello di Manlio Capitolo (Tursi, 28 novembre 1902 - Roma, 21 agosto 1954), colto e notissimo giurista, chiamato dal CLN a presiedere il Tribunale di Venezia, appena dopo la fine della seconda guerra mondiale, poi presidente del Tribunale di Roma e consigliere della Corte di Cassazione, dal 1948. I due fratelli legati, da un affetto profondo, sono certamente tra i figli più amati, rispettati e  stimati nella memoria della comunità tursitana. La scomparsa prematura di Manlio, non aveva ancora 52 anni, è stata raccontata con intenso struggimento in La verità è semplice dal fratello Guido, che morirà solo sei anni dopo, e con un anno in più di età. A Manlio è stato intitolato il nuovo Istituto tecnico commerciale e per geometri e tecnici del turismo di Tursi. Più sfortunato fu il loro fratello maggiore, Vincenzo Capitolo (Tursi 10.8.1900 - 19.3.1939), appassionato di letteratura e dotato di acuta intelligenza, vittima in modo irreversibile di un disagio esistenziale giovanile che lo caratterizzò tra solitudine e strutture di cura fino alla morte precoce, avvenuta a 38 anni.

A Manlio e Guido sono dedicati versi immortali del cugino, il grande poeta di Tursi Albino Pierro (Tursi il 19 Novembre 1916- Roma il 23 marzo 1995), ma liriche e citazioni si ritrovano anche nella interessante produzione poetica dei maestri Elementari tursitani Alberto Di Noia, a Udine, e di Vincenzo Cristiano (Tursi, 17 agosto 1865 - 21 maggio 1952), poi direttore didattico a Moliterno, in provincia di Potenza. Anna Cascella e Guido Capitolo hanno avuto due figli, entrambi sposati e senza prole: Aldo (1947-2009), funzionario della Banca Commerciale, deceduto a 62 anni, e Giuliana (1939), docente di Italiano e Storia nelle scuole Secondarie di 2° Grado di Roma, unica sopravvissuta della grande famiglia che, non essendoci più eredi, è destinata al tramonto.

Vincenzo, Manlio e Guido erano figli del primogenito di Vincenzo Capitolo, Domenico Capitolo (Tursi, 02.4.1864 -14.6.1931), che fu un validissimo avvocato e poi notaio negli anni 1927-30, ma anche umanista e letterato, e di Maria Ayr, detta Marietta (Tursi 26.6.1876 - Roma 26.4.1955), insegnante Elementare per diverse generazioni. I genitori si erano sposati il 19 luglio 1899 ed ebbero tre figli,  appunto. La famiglia visse sempre a Tursi, in via Garibaldi n. 42, ma dopo la morte del padre emigrarono a Udine, rendendo effettiva un decisione maturata da tempo (ufficialmente dall'8 marzo 1939, cioè poco prima della morte del fratello Vincenzo). Con la dipartita di Guido a Udine (Manlio è sepolto nel cimitero romano del Verano, assieme alla madre Maria), la signora Cascella e i figli si trasferirono a Roma, nel grande appartamento che era stato di Manlio, dove Giuliana e Aldo sono ritornati spessissimo negli ultimi anni per stare vicino alla loro  madre. 

Verdiana C. Verde

Su invito della prof.ssa Giuliana Capitolo, alla metà di luglio, ho incontrato nella sua abitazione la signora Cascella. Aveva ancora un gradevolissimo aspetto, direi perfino bella e dai modi gentilissimi, anche se non più totalmente autonoma, avendo una difficoltà di deambulazione che la costringeva su una più comoda sedia con le rotelle, assistita però da una giunonica badante della Romania, precisa, taciturna e sorridente. La signora Anna leggeva il quotidiano "La Repubblica" ancora senza occhiali. Il suo sguardo si aprì come un balcone sulla primavera, rinverdendo uno squarcio sul passato, al momento delle presentazioni, quando le fu detto la mia provenienza. Mi invitò a trattenermi tutto il tempo necessario e a ritornare in autunno perché le avrebbe fatto tanto piacere, e questo ci tenne a sottolinearlo. Il grande appartamento con numerose stanze tutte soleggiate era caratterizzato da un sobrietà contenuta ed elegante allo stesso tempo, dava l'idea del tempo trascorso e del modo signorile di chi ci aveva vissuto.

Non molte le fotografie appese ai muri, quasi tutte in bianco e nero, ma tantissimi i libri della enorme biblioteca privata. Testi che difficilmente ti aspetteresti di trovare nella dimora dei Capitolo e che fanno piazza pulita sulla loro indole, apertamente progressista e di sinistra,  con una tradizione di famiglia di gente perbene, onesta e senza ostentazione del potere. Collocato in una zona importante, la casa è in uno stabile credo di sette piani, nei quali risiedevano, negli anni Cinquanta, le famiglie di personalità importanti della cultura italiana, come Pier Paolo Pasolini (ricordato con una targa marmorea sul portone d'ingresso), Marcello Mastroianni, Attilio Bertolucci (il giovane figlio Bernardo, poi maestro del cinema mondiale, era allora assistente del Pasolini cineasta). Appena qualche caseggiato più in là, viveva il poeta Giorgio Caproni. Con Manlio si conoscevano tutti e si frequentavano. C'era voglia di sapere, di capire e di interpretare tutte le umane vicende familiari, per quanto io potessi, nell'amabile conversazione con la signora Giuliana, reduce da una operazione al colon (un cancro ai polmoni aveva portato alla tomba l'amatissimo fratello Aldo).

Nei mesi precedenti avevo fornito, tramite telefono e  via e-mail, tante fotografie, alcune notizie su Tursi e piccole delucidazioni sui rapporti familiari sollecitatemi dalla prof.ssa Elena Chiari Petitti, sua cugina torinese, figlia di Antonio Chiari (Sassari, 21/7/1905 - Cherasco, Cuneo, 11/01/1945, figlio di Carmela Ayr e Francesco Chiari). Giuliana mi spiegò che stava scrivendo, anzi correggendo le bozze del libro  ("Aldo", Giuliana Capitolo, Roma 2012)che aveva voluto dedicare al fratello, stampato in proprio, e del quale mi ha fatto poi dono in ottobre. Adesso, dopo averlo letto d'un fiato e commosso, anche perché in forma di diario si ripercorre tutto il calvario degli ultimi mesi e giorni e istanti di Aldo, lo rigiro tra le mani, mentre ripenso con tristezza alla signora Anna Cascella, che più non rivedrò.

Salvatore Verde

I CAPITOLO IN A.PIERRO, A.DI NOIA E V.CRISTIANO (a cura di Verdiana C. Verde)

A Guido Capitolo (Albino PIERRO, Metaponto, Garzanti Editore Milano, 1982, pp.38-39)

Addù ti n'ha' iùte, Guì? /Mbàreche t'hè chiamète frète tue, /e tu mò ha' ‘a i'èsse cuntente, / all ‘atu munne, / ca lle pòi risponne. // Aqquebbàsce, / ci ha' rumèse ni picche di terre / cchi lle fè nasce i fiore nd' i staggione, / e nui si ni stavéme arraugghiète / chi a na bbànne e chi a n'ate / chi chiatrète nd' u fridde o rivigghiète / nda nu sbutte di chiante. // Nun c'è nisciune, Guì, / ca si pò dè na mène; eppure l'amm' ‘a réje / stu muragghione àvete d'u munne / menze sciullète; / ll'amm' ‘a fè i'èsse forte / sti vrazzicèlle noste fine fine / ca pàrene di vitre / o i vrazzicèlle ianche d'i rnahète.

A Guido Capitolo. Dove te ne sei andato, Guido? Forse ti ha chiamato tuo fratello, / e tu ora devi essere contento, all'altro mondo, / che gli puoi rispondere. / / Quaggiù, / ci hai lasciato un poco di terra per farli nascere i fiori nelle stagioni, / e noi ce ne stiamo avvoltolati / chi da una parte e chi da un'altra / chi ghiacciato nel freddo o svegliato / in uno scoppio di pianto. / / Non c'è nessuno, Guido, / che possa darci una mano; / eppure dobbiamo reggerlo / questo muraglione alto del mondo / mezzo crollato; / dobbiamo farle essere forti / queste nostre braccine sot­tili sottili / che sembrano di vetro / o le braccine bianche dei malati. (traduzione dell'autore)

A Manlio Capitolo (Albino PIERRO, "Appun­tamento, 1946-1967", Editori Laterza Bari, 1967, pp. 36-38)

Manlio, / già sei nella terra, /  ed io non so se ancora t'inseguono / quei frastuoni di trombe, / tu che solo in campagna / eri felice, o quando davi un'anima / a quell'unica tomba abbandonata / di un piccolo cimitero di montagna. // La piccola persiana, non più verde, della finestra  / chiusa sopra i tetti, / -ricordi?- / ­continua a parlare, nel suo deserto, / col filo di spago mosso lieve dal vento, / e sembra che ripeta le tue parole / in un linguaggio d'arido splendore / senza spazio né tempo: / "E pensare che al mondo ci sono i fiori". // Non so quante volte le scandivi / queste ed altre parole / perché le udissero i morti insieme ai vivi: / ed erano colpi di martello / che giungono lenti e precisi / al fondo musicale delle cose, / ma che poi rimanevano inerti: / inutili ponti d'amore / fra solitudini ed abissi; / e, lampada votiva nella notte, / tu ardevi trasfigurato nel tuo pallore. // Ora ti cerca il vento a Monteverde. // Non riesce a dimenticarti / né a darsi pace, il vento, / da quella dolce sera in cui ti vide / a colloquio col rospo sbigottito / che salvasti festoso dalla strada; / ti sorprese nel buio delle piante / dove tornava il guizzo delle stelle / e, a scatti, s'accendevano / innumerevoli arcate di sogni. / Io potrò pure ritornare al villaggio / per rivivervi la funebre adolescenza / nell'ora dei notturni distacchi / legati alle partenze cupe per il collegio: / vi troverò , in più, la tua casa deserta / divenuta la nave obliqua nel porto defunto. / Andrò allora a cercarti nella solitudine dei burroni / e ti riudrò, forse, nei loro bisbigli; / e guarderò a lungo la sottile falce di luna / che tu così spesso guardavi, / prima che l'odore delle frasche dei forni / con l'odore caldo del pane / ci accogliessero, a sera, / dalle mitiche passeggiate al convento. // Ma tu mi parli, ora, così poco / dalla tua grande pace. / Hai proprio tanto da dire / a quella bambinetta innamorata / che è venuta a trovarti nella tua nuova città? / E' morta, e tu lo sai, di poesia, / e ha deciso, forse, di non lasciarti /  se non quando sarà finito il vostro discorso / che non sarò meno lungo dell'eternità. // Manlio, mio Manlio, / come ardevi quella sera nel tuo pallore, / -ostia gigante di luce / comparsa sui vetri neri di una finestra-; / con quali innumerevoli voci / mi riparlava la tua anima / in quel vago accennare della notte sul mare / attratto dal buio della campagna deserta / in cui vagavo sereno col tuo ricordo. // Poi, come l'onda mi fransi / sul ciglio della strada rombante / -l'infallibile lama che taglia il velo dei sogni- / e mi confusi alle ombre, / e più deserto implorai / a quali mai rondini e a quale / mai torrida estate lontana / avrei potuto ripetere, / -e anch'io con un sospiro- / ciò che diceva tuo padre / guardando le stelle di luglio, / ciò che tu ripetevi / ricordando tuo padre: / "Ah poter sapere, poter sapere, / perché i morti non tornano".

 Don Guido Capitolo (Vincenzo Alberto DI NOIA, "C'ete nd'u core poesia vernacola tradotta in italiano dall'autore", Cultura Duemila Editrice, Ragusa, 1992, pp. 106-07)

DON GUIDO CAPITOLO / Come su' mò/ nun ci furére senza di don Guido,/ aqquè, luntène assèi:/ avìje cangète vite/ e mi sintìje n'ate,/ cchiù mmègghie assèi di prime;/ ci stavìje cuntente,/ pure si scunfinnète a nn'àtu pizze/ di munne. / Po', doppe ancun anne appéne,/ a la scurdète, a Pertegada,/ nu brutte jurne fridde di jnnère/ l'àgghie avute tra chèpe e colle/ come na mazzète:/ Don Guido è morto!/ Avìte schitte cinquant'anne fatte. / Mbàriche tante duhòre/ nun l'avére pruvète/ si m'avèrene dète averamente/ nu sacche di mazzète. / Mi sintìje sciullè u munne colle/ e avìje schitte vògghie di scappè:/ murìvite cchi gghille/ ‘a vògghie di ci stè. / Fridde di jnnère/ m'è rumèse aqquè daintr'u core.

DON GUIDO CAPITOLO / Come sono adesso/ non ci sarei senza di don Guido,/ qui, lontano assai:/ avevo cambiato vita/ e mi sentivo un altro,/ migliore assai di prima;/ ci stavo contento,/ pure se sconfinato ad un altro pizzo/ di mondo. / Poi, dopo qualche anno appena,/ all'improvviso, a Pertegata,/ un brutto giorno freddo di gennaio/ l'ho avuta tra capo e collo/ come una mazzata:/ Don Guido è morto!/ Aveva solo cinquant'anni fatti. / Forse tanto dolore/ non l'avrei provato/ se m'avessero dato davvero/ un sacco di mazzate. / Mi sentii crollare il mondo addosso/ e avevo solo voglia di scappare:/ morì con lui/ la voglia di restarci. / Freddo di gennaio/ m'è rimasto qui dentro il cuore!

"Il paesello natio - 6 gennaio 1949" ((Vincenzo CRISTIANO in Foglie secche e note gaie Versi, Tip. Degli Orfanelli - Tursi (Matera), 1950, pp. 16-18 e 74-76)

Se siam da Policoro un po' distanti/ siam poi d'Anglona più vicini a' piani,/ che ricordano Pirro e gli elefanti/ e il console Levino ed i Romani:/ Tursi si noma il loco ov'io son nato,/ da grotte e da burroni circondato. / Vetusto è si, ma come è costruito,/ ma come son le fontamenta rose;/ per giunta è forse un po' malsano il sito/ con le sue strade ripide e fangose, / dispensando po' febbri a la sua gente/ gli scorre a' piè precipite torrente. / E pur così com'è sporco e immondo/ col fango attaccaticcio che t'imbratta/ da non aver l'egual forse nel mondo/ possiede terra a ogno coltura adatta,/ e ‘l popol suo energico ed attivo/ dà grano, frutta ed olio a chi n'è privo. / Eppur così com'è può darsi vanto/ d'aver dato i natali ad un Oliva/ nell'arte del pennello illustre tanto,/ una cui figlia sposa se ne giva/ all'illustre Mancini, gran giurista,/ sommo parlamentar, sommo statista. / Eppoi fra' trapassati noti a noi/ della Betulia Liberata autore/ Brancalasso, un Casano, un Ayr poi/ mio tanto venerato precettore,/ di cui estinta ancora non è l'eco/ del suo valore noi latino e greco. / Fu lui che mi guidò nei primi passi/ con mano esperta, docile e paziente;/ fu lui la fresca fonte, da cui trassi/ il modesto saper ch'orna la mente;/ fu lui, che pago alfine potè dire:/ Or va' fidente verso l'avvenire. / lE degno ancor nel semplice mio stile/ d'un fraterno pensier sincero e mesto/ l'amico impareggiabile e gentile/ Capitolo si colto e poi sì onesto/ da dire al cliente: Qual consiglio darti?/ La causa non va, puoi rassegnarti. / E Cucari non fu il compagno mio/ tanto famoso per le sue macchiette/ e pel suo stile pien d'umore e brio?/ Nemico un dì di codici e pandette,/ divenne un civilista rinomato,/ a Napoli ed altrove assai stimato. / Ecco Ferrara Andrea dall'alato/ e poderoso ingegno che al gradino/ ultimo è giunto come magistrato/ e dopo lui Peppino Camerino,/ or giudice a riposo e molto noto,/ che fu fra' miei alunni il più devoto. / Ayr Carmela si modesta e buona,/ dallo sguardo pensoso e sempre mesto,/ fa parte della nobile corona./ Appena giovinetta ella ogni testo/ spiegava da Virgilio a Cicerone,/ da Senofonte, a Socrate e Platone. / I Capitolo ancora, altri scolarì,/ a nome Manlio il primo e l'altro Guido;/ si giovani, sì buoni e a tutti cari,/ molto profondi: è proprio questo il grido:/ è l'un distinto ed alto magistrato,/ preside illustre l'altro e letterato. / I Pierro infin: tre amabili fratelli,/ che seguon del saper la nobil via./ Furono i tre tesori, i tre gioielli/ d'una maestra laboriosa e pia./ Valente penalista è già Peppino,/ poeta esimio il terzo a nome Albino. /

 "Presso il sepolcro dell'avv. Domenico Capitolo (2 - 11 - 1939)" (Vincenzo CRISTIANO)

 M'aggiro meditando in questo loco/ di mestizia e di lutto e son già presso/ al tuo sepolcro, o anima di fuoco. /  Dal carattere fiero e mai dimesso,/ dal cuore retto e dall'ingegno acuto,/ eri d'un pezzo egual sempre a te stesso. / Con nobil gesto, generoso aiuto/ mai tu negavi, e sol per un nonnulla/ tu sì eloquente diventavi muto. / Perché mostrassi un'anima fanciulla/ e il maschio volto lo rigasse il pianto/ bastava un bimbo che gemesse in culla. / Nessuno più di te felice tanto/ coi tre gioielli avuti dal Signore,/ gloria per te, pel paesel gran vanto, / pel vecchio precettor sublime onore. / Eppure un gran dolor t'era serbato, / un dolor che non ebbe mai l'eguale,/ per Vincenzino tuo tant'adorato. / La sua mente sì lucida e geniale/ un morbo l'offuscò, s' che la sorte/ tanto benigna ti si fe' rivale. / Parve non t'abbattessi e fossi forte/ all'improvviso colpo del destino/ ma fossi tratto innanzi tempo a morte. / "Ch'io ti perdessi fu voler divino/ - mi par sentire in rassegnato accento -/ eternamente or mi sarai vicino. / L'affetto mio non sarà mai spento/ e avrà di me pietà il Sommo Iddio,/ o tu che fosti in vita il mio tormento, / riposa pure in pace, angelo mio". / Ed or si plachi alfin l'anima inquieta,/ ammira, ammira, o spirito angoscioso,/ di Manlio e Guido la splendida meta / e fia anche per te dolce il riposo. /

Tursi, 30 dicembre 2012