Giuseppe Di Stefano, il pił grande tenore del "bel canto" della storia dell'opera
domenica 03 febbraio 2013

Giuseppe Di Stefano, il più grande tenore del "bel canto" della storia dell'opera

"No Magda, non ce la faccio, la voce mi è andata via e gli acuti non verranno, non posso continuare....", con queste parole rivolte al soprano Magda Olivero  tra il secondo e il terzo atto di una Fedora del 1969, iniziarono a bussare i primi campanelli d'allarme che da li a poco avrebbero chiuso definitivamente la carriera di Giuseppe Di Stefano, il più grande tenore belcantistico della storia dell'opera.
 
Di Stefano (Motta Sant'Anastasia, 24 luglio1921- Santa Maria Hoè, 3 marzo 2008) era figlio unico di un carabiniere e di una sarta. "Pippo", come lo hanno sempre chiamato amici, colleghi e fan, fu scoperto a 15 anni da un suo amico che dopo aver sentito casualmente un suo acuto decise di pagargli le prime lezioni di canto. Allo scoppio della guerra viene arruolato nell'esercito, finendo ripetutamente in cella per il suo comportamento, ma un ufficiale medico lo giudicò "più utile all'Italia come cantante che come soldato" e gli fece ottenere una licenza per una convalescenza fittizia poche ore prima della partenza per il fronte, in tal modo sfuggì allo sterminio del proprio reggimento nella campagna di Russia.
 
Grazie al suo entusiasmo, all'incoraggiamento della sua famiglia, che nonostante la povertà aveva capito la bellezza della voce di Pippo, e di coloro che lo udivano, oltre al corretto insegnamento da parte del baritono Montesanto, egli trovò l'oro vocalizzo dopo vocalizzo, quando dopo non molto decise di sperimentare nel difficile mondo della lirica. Quel ragazzo grezzo come il petrolio, come lui stesso si definiva, nel giro di un quinquennio riuscì a conquistare il loggioni e le platee di tutti i teatri del mondo, con la sua voce chiara e lucida l'innato modo di porgere e di fraseggiare.
 
Debuttò ufficialmente nel 1946 a Reggio Emilia interpretando il ruolo di Des Grieux nella Manon di Massenet e da allora la sua carriera fu tutta un crescendo. Manon Lescaut, Tosca, Turandot, La bohème, Rigoletto, Madama Butterfly, La fanciulla del West, I puritani, Lucia di Lammermoor, La Favorita, Il barbiere di Siviglia e decine di altri ruoli lo vedevano protagonista, non solo, era un uomo dotato anche di una grande bellezza fisica. Dalla metà degli anni quaranta, iniziò così l'epoca del primo Di Stefano, il tenore d'oro, che artisticamente non aveva eguali in grado di compararlo in Rodolfo, Alfredo, Edgardo e diversi altri. Di Stefano è stato uno dei cantanti lirici più popolari e amati del dopoguerra. Il suo nome è anche legato in maniera indissolubile al sodalizio artistico ed affettivo con Maria Callas.
 
Per non perdere quel timbro lucente che lo aveva reso così famoso, il tenore iniziò  a sparare acuti a gola aperta in opere nelle quali lui non avrebbe mai dovuto figurare: Pagliacci, Aida, Trovatore e altri importanti ruoli che contribuirono a rovinare la sua voce con veri e propri  massacri vocali. La voce del tenore, presto collassò costringendolo ad abbandonare la sua carriera ancora giovane. Il 3 dicembre 2004 rimane gravemente ferito durante un'aggressione da parte di alcuni rapinatori nella sua casa di Diani in Kenya; le sue condizioni si rivelano più gravi di quanto fossero apparse in un primo momento, tanto che in seguito alle ferite riportate entra in coma e dopo un lungo viaggio di trasferimento verso l'Italia, viene ricoverato in un ospedale milanese. Non si riprende mai del tutto, restando infermo sino alla morte, avvenuta nella sua casa di Santa Maria Hoè, vicino a Lecco, il 3 marzo 2008.
 
Quando si parla di opera lirica, di melodramma Italiano, di voci tenorili e in generale di tutto il "bel canto", sarà impossibile fare a meno di ricordarlo. Dotato di una voce morbida, notevolmente estesa e impostata con una dizione chiarissima, il fraseggio era appassionato e dall'inconfondibile timbro caldo, almeno nei primi anni. Giuseppe Di Stefano, al di là delle doti artistiche, è sempre stato riconosciuto come un uomo di grande umanità, di istintiva simpatia, sincero e  generoso, percepibile immediatamente anche nelle sue interpretazioni. Luciano Pavarotti aveva per lui una grande ammirazione e una volta raccontò: "Il mio idolo è Giuseppe Di Stefano; lo amai ancor più di Beniamino Gigli e questo mi costò addirittura, per l'unica volta in vita mia, uno schiaffo da mio padre, che continuò a preferirgli Gigli".
 
La musica è la più grande portatrice di emozioni e sensazioni, avendo la capacità di far sognare, di catturare le nostre forze, le debolezze e i sentimenti; essa è suono, movimento, parola, comprensione, memoria, un corpo che danza, brividi e  sensazioni che accompagnano la nostra esistenza. L'opera lirica è una poesia musicalmente incantevole, un poema in melodia le cui note provengono dall'anima dell'autore.

Antonella Gallicchio