Mai tramonteranno la bellezza della poesia e la forza di Anna Achmatova
domenica 11 agosto 2013

Mai tramonteranno la bellezza della poesia e la forza di Anna Achmatova, che fuse la sua drammatica storia personale con quella dell'amato popolo russo, divenendo la voce cosciente di una tragedia inaudita

Anna Achmatova non amava sentirsi definire «poetessa», amava invece "poeta". Achmatova e Cvetaeva, due poetesse diverse, classica e di eccezionale bellezza la prima, trasgressiva e di esaltante frenesia la seconda, ma entrambe radicate nello stesso territorio sconvolto della Russia, martoriata dalla guerra.
 
Due vite diverse, anche se entrambe tempestose di amori e piagate dai dolori. La Achmatova nacque il 23 giugno del 1889 in una casa di campagna, le misero il nome Anna, in onore di sua nonna, ma lei preferì quello di Achmatova, in onore della sua bisnonna, principessa tartara discendente di Gengis Khan.
 
Anna Achmatova fu davvero poeta del suo popolo, infatti, assieme sopportarono tutte le violenze e le brutture di quel periodo. Interprete pietosa delle sofferenze della sua gente e della sua amata terra, aveva capito che i tempi non si valutano in base al calendario, ma considerando gli eventi. "Alta, magra, con lunghe gambe, lunghe braccia sottili, un viso illuminato da occhi sensibili e acuti, un naso aquilino che affascinò i suoi ritrattisti, da Modigliani ad Al'tam, era l'immagine della femminilità, affascinante, dominante, misteriosa".
 
Imparò a leggere sui libri di Tolstoj, a cinque anni parlava perfettamente il francese, a undici scrisse la sua prima poesia. Nel 1905 i genitori di Anna divorziarono e lei seguì la madre a Evpatorija, dove terminò il liceo, e poi a Kiev, dove si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Trascurava però le materie giuridiche per scrivere poesie. Fu moglie dal 1910 al 1918 di Nikolaj Gumilëv (poeta russo e figura centrale del movimento letterario "acmeismo"), che per lei aveva tentato perfino il suicidio. Durante il viaggio di nozze a Parigi, Anna conobbe Modigliani, che si innamorò profondamente della particolare bellezza della donna, tanto da volerla più volte dipingere.
 
Lei fece parte della Corporazione dei poeti, un gruppo acmeista fondato e guidato dal marito. Le sofferenze cominciarono assai presto e con l'avvento della rivoluzione, i fatti precipitarono: Gumilev, che appariva un poeta  guerriero, è accusato di aver preso parte a una congiura monarchica ed è arrestato e fucilato il 25 agosto 1921: «Ti portarono via all'alba, Ti seguivo, come a un funerale,  In una angusta stanza piangevano i bambini».
 
Ad Anna Achmatova, poetessa «aristocratico-borghese», venne interdetta ogni pubblicazione, mentre il figlio Lev fu  deportato. Per lei iniziò una lunga sofferenza, passando molti mesi a correre da un carcere all'altro, in fila con molte altre madri e, nel tentativo di salvare la vita del figlio, fu costretta a piegarsi e scrivere una lettera a Stalin e versi di ossequio al comunismo; alla fine ottenne la commutazione della pena di morte in esilio per l'amato e unico erede.
 
Ad aggravare la sua situazione, logorata dall'ansia di madre per la sorte del giovane figlio, in quel periodo, intorno al 1935/40, scriverà Requiem, un canto straziato che, seppure non pubblicato, le guadagna una fama vastissima, ma il poemetto è uno spietato atto di accusa contro la dittatura di Stalin, con questa dedica: "A quelle che furono le compagne del mio stesso strazio. Dove sono ora le amiche involontarie  di quei miei anni satanici? Che cosa appare nella loro bufera siberiana? Che cosa balugina loro nel disco lunare? A loro invio il mio saluto di commiato". Era il più grande atto di accusa di un popolo contro la tirannia. Dalla seconda metà degli anni Venti fino al 1940 il Partito cercò di isolarla chiudendola nella sua casa di Leningrado, un minuscolo appartamento.
 
Non ebbe il coraggio di imprigionarla, ma la tenne d'occhio continuamente, creando intorno a lei il vuoto, sottoponendola a continui ricatti e colpendola negli affetti più cari: anche il suo secondo marito fu imprigionato e morirà in un campo di concentramento. Per vivere dovette impiegarsi come bibliotecaria presso l'istituto di Agronomia. I suoi amici prediletti furono allontanati dalla Russia, compresa Marina Cvetaeva, grande poetessa e anche lei  colpita duramente dalla tirannia, tanto da morire suicida.
 
L'Achmatova non era più la bella donna di un tempo, piegata dai dolori di madre e di moglie distrutta nei sentimenti, ma ci fu chi la riconobbe: "Siete voi Anna Achmatova, il poeta? - le chiese una donna -. Siete poeta? Allora potreste descrivere tutto questo?". Lei rispose: "Si, posso". E allora una specie di sorriso scivolò lungo quello che una volta era stato il volto della donna più apollonica della madre russia: "No, non sotto un estraneo cielo, non al riparo d'ali estranee: ero allora con il mio popolo, là dove il mio popolo, per sventura, era". Soltanto negli anni cinquanta Anna venne riabilitata e le sue  poesie  cominciarono a comparire su alcune riviste.
 
Nel '56, tre anni dopo la morte di Stalin, il figlio Lev venne finalmente scarcerato e Anna potè tornare in Italia e recarsi in Inghilterra a ricevere la laurea honoris causa all'Università di Oxford. Nel frattempo, continuava a rifinire Poema senza eroe, al quale lavorava da ventidue anni. Il componimento era infatti dedicato alla memoria di coloro che per primi avevano ascoltato la sua voce, gli amici e i concittadini morti a Leningrado durante il terribile assedio. Achmatova fuse la sua drammatica storia personale con quella del popolo russo, che amava, divenendo la voce cosciente di una tragedia inaudita.
 
Si spense a Domodedovo, vicino a Mosca, il 5 marzo 1966. In mezzo alla folla commossa, un giovane poeta piangeva accoratamente. Era Iosif Brodskij, che le dedicherà un bellissimo saggio, Il Canto del Pendolo, nel quale scriverà: "Anna Achmatova è uno di quei poeti che semplicemente avvengono... arrivò attrezzata di tutto punto e non somigliò a nessuno".
 
La morte nella poesia dell'Achmatova è talmente legata alla vita, il mondo interiore della poetessa è popolato di morti e di vivi mescolati tra loro e ai quali ella si rivolge indifferentemente. La bellezza dei suoi versi e la forza di questa donna mai tramonteranno, gioie e dolori in lei hanno contribuito a renderla più forte e ad affrontare la vita con dolcezza e decisione.
Antonella Gallicchio

La passeggiata
La piuma urtò il tetto del calesse.
Io lo guardai negli occhi.
Il cuore si struggeva, non sapendo nemmeno
la causa della pena.
Sera senza vento, avvinta di tristezza
sotto l'arco del cielo nuvoloso,
il Bois de Boulogne pareva
tracciato a china in un album antico.
Aroma di benzina e di lillà,
una guardiga quiete...
Di nuovo egli toccò le mie ginocchia
con la mano che quasi non tremava.

(Anna Achmatova)