Marina
Cvetaeva, voce originalissima della poesia russa del XX secolo. I suoi versi sono
il segreto di un'anima che traduce in arte le nostalgie, i ricordi, la
solitudine e le paure di una donna provata dal dolore (di Antonella Gallicchio)
«Spesso
Marina inizia una poesia con un do di petto», così Anna Achmatova descrive
l'impeto creativo di Marina Cvetaeva, che era nata a Mosca l'8 ottobre 1892 e fu
una delle voci più originali della poesia russa del XX secolo. I suoi versi erano
carichi di forza e purezza, toglievano il respiro a Pasternak, ma non la salvarono dal suo tragico destino.
Figlia di Ivan Vladimirovic Cvetaev, filologo
e storico dell'arte, creatore del Museo Pushkin, e della sua seconda moglie,
Marija Mejn, pianista di talento, polacca per parte di madre. Marina trascorse
l'infanzia insieme alla sorella minore Anastasija e ai fratellastri Valerija
e Andrej, figli del primo matrimonio del padre, in un ambiente ricco di
sollecitazioni culturali. A soli sei anni cominciò a scrivere poesie.
Ancora adolescente
la Cvetaeva rivelò un carattere imperiosamente autonomo e ribelle; agli studi
preferiva intense e appassionate letture private: Pushkin, Goethe, Heine.
L'esistenza della Cvetaeva fin da giovanissima si era mostrata inquieta,
sempre alla continua ricerca d'autonomia, indipendenza dal contesto, di
un'espressione, una voce propria. Sarà "eternamente ribelle": si
ribellerà alla famiglia, ad ogni residenza prolungata, ad ogni affetto
definitivo, aspirerà sempre ad una condizione migliore di quella vissuta, una
donna passionale, fortemente convinta delle sue qualità artistiche, non
rinuncerà mai a scrivere né per amore né per vicende avverse.
Tutta la sua vita
sarà una disgrazia, pur essendo nata bella, ricca, intelligente e avrà al suo
attivo centinaia di poesie, diciassette poemi, otto drammi in versi, opere di
narrativa e saggistica, oltre ad un vastissimo scambio epistolare con Boris
Pasternak, suo grande amore impossibile. La natura ribelle di questa
splendida donna, condannata alla poesia quanto all'infelicità, fu una delle
cause del suo isolamento. Il suo primo libro, "Album serale", fu pubblicato
ne 1910. Nella primavera del 1911,
in Crimea, ospite del poeta Max Volosin, incontrò il suo
futuro, Sergej Efron.
Lei ha 17 anni, lui 18, questo è quello che Marina scrive
in quel periodo: "Decido che non mi separerò da lui mai più in vita mia e che
divento sua moglie". Nel 1912 scrive la sua seconda raccolta di liriche,
"Lanterna magica", e nel 1913 "Da due libri", in mezzo la nascita
della prima figlia Ariadna (il 5 settembre 1912). Durante la rivoluzione di febbraio
del 1917, la Cvetaeva si trovava a Mosca e fu dunque testimone della sanguinosa
rivoluzione bolscevica di ottobre. A causa della guerra civile si trovò separata
dal marito, che si unì, da ufficiale, ai bianchi. Non lo vide dal 1917 al 1922. A venticinque anni,
dunque, era rimasta sola con due figlie in una Mosca in preda ad una tremenda
carestia e spaventose violenze.
Non riuscì a conservare il posto di lavoro
e durante l'inverno 1919-20 si trovò costretta a
lasciare la figlia più piccola, Irina, in un orfanotrofio, dove la piccola fece
una morte tremenda, lasciata morire di fame. Questo dolore segnò la poetessa profondamente.
Quando la guerra civile ebbe fine, la Cvetaeva riuscì nuovamente a entrare in
contatto con suo marito. Con la famiglia, si trasferì prima a Praga, dove visse
dal 1922 e nacque il terzo figlio, Mur (febbraio 1923), poi a Parigi, dall'autunno
del 1925, dove trascorse i successivi quattordici anni.
La poetessa si trovava
a vivere in uno stato di totale isolamento
ed emarginazione. La scrittrice Elena Izvol'skaja ricorda la Cvetaeva
nei suoi primi anni a Parigi: "La mia Marina: quella che lavorava, e
scriveva,
e raccoglieva la legna, e nutriva la famiglia con le briciole. Il marito
Sergej
Efron era passato apertamente dalla parte dei Soviet e, rimpatriato,
prese
parte attivamente alla vita politica, convincendo anche la figlia a
seguirlo. Marina
si trovava completamente isolata nell'ambiente dell'emigrazione e
all'inizio
degli anni '30, fu costretta a trasferirsi in una casa meno cara dove
non
poteva scrivere versi.
Quando Pasternak venne a Parigi nel 1935 (nel
corso
degli anni venti si erano scritti frequentemente e si erano dedicati
reciprocamente
dei poemi), lei gli chiese se fosse prudente per lei tornare in Russia,
come
chiedeva il figlio per riunirsi al marito. Ma la Cvetaeva non conosceva
il peggio: Efron aveva cominciato a collaborare con la GPU (corpo di
polizia
politica sovietico per combattere i nemici del regime), partecipando
addirittura ad un omicidio. Nel 1939 ritornò in Russia, nel mese di
agosto sua
figlia venne arrestata e deportata nei gulag. Ancora prima era stata
presa la
sorella. Quindi venne arrestato e fucilato Efron - un nemico del popolo,
ma
soprattutto, uno che sapeva troppo.
La Cvetaeva cercò' aiuto tra i
letterati.
Quando si rivolse a Fadeev, l'onnipotente capo dell'Unione degli
scrittori,
egli disse alla "compagna Cvetaeva" che a Mosca non c'era posto per lei,
e la spedì a Golicyno (lui sarà fucilato quindici anni dopo). Quando
l'estate successiva
cominciò l'invasione tedesca, la Cvetaeva venne evacuata ad Elabuga,
nella
repubblica autonoma di Tataria. Ella si sentiva completamente
abbandonata. I
vicini l'aiutavano a mettere insieme le razioni alimentari. La domenica
31 agosto
del 1941, rimasta da sola a casa, la Cvetaeva salì su una sedia, rigirò
una
corda attorno ad una trave e si impiccò. Nessuno andò ai suoi funerali,
svoltisi tre giorni dopo nel cimitero cittadino, e non si conosce il
punto
preciso dove fu sepolta.
Era una donna che avrebbe voluto "essere
libera, libera
da tutto. I suoi bellissimi versi sono i segreti di un'anima che traduce
in
arte le nostalgie, i ricordi, la solitudine e le paure di una donna
provata dai
dolori. Ora, tutti credono nella sua poesia, tutti amano la sua poesia,
una donna
che non ha mai rinunciato alle sue idee, ha sacrificato la sua vita per
salvare
l'interiorità della sua anima.
Antonella
Gallicchio
INDIZI
Come spostando pietre:
geme ogni giuntura! Riconosco
l'amore dal dolore
lungo tutto il corpo.
Come un immenso campo aperto
alle bufere. Riconosco
l'amore dal lontano
di chi mi è accanto.
Come se mi avessero scavato
dentro fino al midollo. Riconosco
l'amore dal pianto delle vene
lungo tutto il corpo.
Vandalo in un'aureola
di vento! Riconosco
l'amore dallo strappo
delle più fedeli corde
vocali: ruggine, crudo sale
nella strettoia della gola.
Riconosco l'amore dal boato
- dal trillo beato -
lungo tutto il corpo!
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