Sibilla Aleramo, scrittrice e poetessa, la donna che fatto della sua vita un'opera d'arte |
sabato 07 dicembre 2013 | |
Sibilla Aleramo, scrittrice e poetessa, la donna che ha fatto della sua vita un'opera d'arte dannunziana: "L'amore fu la ragione della mia esistenza e quella del mondo"
«Non so se sono stata donna, non so se sono stata spirito. Son stata amore». Così
nella lettera dell'11 Luglio del 1927 Sibilla Aleramo esprime la sua condizione
esistenziale.
Sibilla
Aleramo, pseudonimo di Rina Faccio nasce ad Alessandria,
il 14 agosto 1876, con la famiglia si stabilisce presto a Civitanova
Marche,
dove a 15 anni trova impiego nella fabbrica chimica diretta dal padre,
grazie
al marchese Sesto Ciccolini. L'adolescenza della giovane fu tutt'altro
che
felice, nel 1889 la madre, depressa, tentò il suicidio gettandosi dal
balcone
di casa.
Questo segnò inevitabilmente i rapporti familiari, la donna fu
ricoverata nel manicomio di Macerata, dove si spense nel 1917. Nel 1891,
a quindici anni, Rina
fu violentata da un impiegato della fabbrica, Ulderico Pierangeli:
rimase
incinta ma perdette il bambino, e tuttavia nel 1893 fu costretta dalla
famiglia
a un matrimonio «riparatore». Prigioniera di un marito che non amava e
neanche
stimava, e di una vita condotta in una cittadina della quale percepiva
il
gretto provincialismo, concentrò tutta la sua vita e il suo amore nella
cura del suo primo figlio Walter, nato nel 1895.
La caduta di questa
illusione la portò a un tentativo di suicidio, ma non si arrese e si
impegnò a
realizzare le sue aspirazioni umanitarie. Il suo impegno femminista non
si
limitò alla scrittura ma si concretizzò nel tentativo di costituire
sezioni del
movimento delle donne e nella partecipazione a manifestazioni per il
diritto di
voto e per la lotta contro la prostituzione. Negli stessi anni in cui
scriveva la
Aleramo, anche in Inghilterra il dibattito sull'emancipazione femminile
era al
culmine. Virginia Woolf si impegnò molto per la dignità della condizione
femminile nella società dell'epoca.
Dolcezza, entusiasmo, creatività,
forza, tutto
questo è donna per la nostra poetessa. "Una donna", il suo primo romanzo
di stampo
fortemente autobiografico è un libro imbarazzante e provocatorio,
precursore di antichi palpiti
di liberazione femminile, viene pubblicato nel 1906. Seguirono
altre opere in prosa come "Il passaggio", "Andando e stando", "Amo,
dunque sono", "Il frustino", "Gioie d'occasione", "Orsa minore", "Dal
mio
diario", "Il mondo è adolescente", "Gioie d'occasioni e altre ancora", e
raccolte di liriche come "Momenti", "Poesie", "Sì alla Terra", "Selva
d'amore",
"Aiutatemi a dire", "Luci della mia sera".
Di lì a qualche anno arriverà
anche
alla direzione del settimanale milanese "Italia femminile". Nel 1902
abbandona
il marito ed inizia la sua "seconda vita". Vive amori importanti, ha
una intensa relazione con lo scrittore Giovanni Cena. Collabora a
riviste
filosocialiste; si iscrive all'Unione Femminile Internazionale. NeI
1910, dopo
la crisi del rapporto con Cena, che gli suggerì lo pseudonimo di Sibilla
Aleramo, vive una lunga serie di amori e vagabondaggi, vive la sua vita
nella spregiudicatezza.
Ebbe una relazione con la giovane intellettuale
ravennate Lina Poletti. Negli anni 1913-14 è a Parigi, dove incontra
personalità di spicco della cultura internazionale, come Apollinaire e
Verhaeren. Durante la grande guerra incontra
Campana, con cui ha una relazione tempestosa. "L'amore fu la ragione
della mia esistenza
e quella del mondo", come lei stessa scrisse. Il suo ultimo grande amore
fu il
poeta Franco Matacotta, lei sessantenne, lui ventenne; la storia della
loro relazione confluì nelle pagine del diario 1940-1944, dal quale
emergono
tutte le tensioni derivanti da questo rapporto complesso e difficile, in
disparità anagrafica e differenza intellettuale, che pure durò dieci
anni.
Sibilla
Aleramo visse gli ultimi anni della sua vita lottando contro la povertà e
la depressione, ma fino alla fine continuò a viaggiare, ad incontrare
amici e
a scrivere il suo "Diario". Morì a Roma il 13 gennaio del 1960.
Bella, intelligente, erotica, combattente, libera da schemi e
pregiudizi,
desiderata dagli uomini, questa era Sibilla Aleramo, la donna che ha
fatto della sua vita un'opera d'arte Dannunziana.
Antonella Gallicchio GUARDO I MIEI OCCHI Guardo i miei occhi cavi d'ombra e i solchi sottili sulle mie tempie, guardo, e sei tu, mio povero stanco volto, così a lungo battuto dal tempo? Mi grava l'ombra d'un occulto sogno. Ah, che un ultimo fiore in me s'esprima! Come un'opaca pietra non voglio morire fasciata di tenebra, ma d'un tratto, dalla radice fonda, alzare un canto alla ultima mia sera. (da "Selva d'amore", di S. Aleramo) |