A proposito di dialogo interreligioso, di Raffaele PINTO
domenica 25 maggio 2014

A proposito di dialogo interreligioso di Raffaele Pinto

Encicliche, incontri, seminari, decine di saggi e centinaia di articoli sono stati scritti, negli ultimi quarant'anni, in relazione all'importanza socio-culturale ancor più che teologico-spirituale di intavolare un sereno, equilibrato e proficuo dialogo interreligioso.

Ciò che, però, non viene mai considerato abbastanza è il fatto che le religioni ‘camminano' sulle gambe degli uomini e che ad alcuni uomini del messaggio di pace e fraternità portato dal loro ‘credo' non interessa più di tanto.

Questo è valido, ahimè, per tutte le confessioni: quando prevale l'integralismo, magari ben mescolato ad una buona dose di ottusità, la polpetta avvelenata dell'odio interreligioso (ma anche interraziale, interculturale, etc.) è bella e servita.

Pensavamo, tuttavia, che alcune confessioni, magari anche facilitate dalla loro collocazione geografica, fossero assolutamente immuni dal virus dell'odio: ma ci sbagliavamo.

Chi pensava, ad esempio, al buddismo come alla confessione degli infiniti silenzi, delle meditazioni trascendentali, dei trilli armonici o dissonanti dei campanellini e dei fruscii dei saii arancioni, leggendo le cronache recenti rimarrà sbigottito.

Infatti, in Birmania, a causa della predicazione fanatica di un monaco integralista di nome Wirathu, lo scontro teologico-culturale con l'Islam soprattutto ma anche con le altre confessioni (tra cui quelle cristiane) si è fatto negli ultimi tempi davvero acceso ed ha assunto toni inaspettati.

Secondo Wirathu, oltre che essere la religione del perdono e dell'amore, il buddismo deve essere una religione rivendicazionista, tesa cioè ad affermare la propria predominanza etnica, culturale e religiosa laddove da sempre essa detiene, in un certo senso, il ‘monopolio' delle anime.

Peccato, però, che il messaggio infervorato del monaco birmano sia stato causa di decine di morti (per le fonti governative) se non proprio di centinaia (secondo le fonti non governative) soprattutto fra gli islamici residenti nel piccolo paese orientale.

E come in tutte le escalations di violenza l'odio buddistico birmano anti-islamico, ad effetto domino, ha scatenato una reazione uguale e contraria nei paesi vicini a prevalenza musulmana in cui, ora, essere buddista può costituire un problema.

A noi che guardiamo da lontano a queste tristi vicende non rimane che riflettere sul fatto che perdono, comprensione e fratellanza non sono solo concetti spirituali o slogans comportamentali ma valori profondi, universalmente condivisibili, che, alla fine, preservano, oltre che la pace, anche la vita.