Caprarico oggi e ieri
mercoledì 08 giugno 2005

“Siamo isolati e, quel che è peggio, abbiamo la sensazione che tale condizione sia destinata a perdurare”. E’ quanto emerge dall’incontro con alcuni abitanti della frazione di Caprarico (in senso letterale: luogo ricco di capre). Raggiungerla è relativamente facile seguendo la statale Val d’Agri; lungo la provinciale s’incrocia prima la diga di Gannano, visitata durante i lavori anche da Alcide De Gasperi. E’ l’ultimo baluardo strutturale della modernità, risalente, come tutto il resto, ai primi anni Cinquanta, quando intervenne l’Ente Riforma per la quotizzazione dei terreni, favorendo la costruzione delle tipiche abitazioni rurali. Edificati dai nobili Donnaperna, ancora oggi è possibile cogliere la struttura abitativa e difensiva dei due frontali palazzi gentilizi, proprio nel centro del borgo, che dista una decina di chilometri dall’abitato tursitano, considerando le vecchie piste calpestabili e della transumanza delle greggi (seguendo le attuali vie rotabili, i chilometri sono più di quindici). L’altra parte dello stabile, dei primi del ‘700, fu requisito nel 1952 dall’Ente Riforma ed è oggi abitato da due famiglie. Nelle campagne si osservano alcune colture intensive e qualche buon allevamento, Michele De Marco si occupa di struzzi, con confortevoli strutture abitative e capannoni utili alle attività connesse alla trasformazione dei prodotti agricoli e animali, però non paragonabili con le tradizionali attività del passato anche recente. In effetti, colpisce l’impressione di diffuso degrado e di semi abbandono, con alcune situazioni di pericoli strutturali delle caratteristiche casette e di rischi igienico-sanitari, oltre a un progressivo spopolamento, con l’incipiente generale invecchiamento (la più anziana è la signora Modesta Miraglia, 85 anni). La moltitudine degli abitanti fa riferimento alla vicina frazione di San Brancato di Sant‘Arcangelo, innescando problemi economici e di servizi comunali. Sembra la naturale conseguenza di un progressivo spostamento dell’asse dello sviluppo agricolo tursitano, tutto rivolto a sud, proiettato su Policoro, il Sinni e la superstrada Sinnica. “Non è una questione attuale, né di quest’amministrazione, anche se dall’assessore all’agricoltura ci saremmo aspettati qualcosa di più, dopo aver risolto il problema della riapertura dell’ufficio postale, e la raccolta della spazzatura, per due e tre volte la settimana”. Tre anni addietro c’è stata la chiusura, mancando le condizioni sanitarie, del circolo ricreativo dell’Acli, spostato a Caprarico Vallo. “Così il borgo si è spento e per sempre”, ci dice sconsolato Giovanni Costantino, pensionato-commerciante, “manca un punto di ritrovo, perciò abbiamo fatto da molto tempo una richiesta per un locale, invano. La verità è che c’è sempre uno scaricabarile sulle competenze ad intervenire, tra il Comune e l’Alsia”. Nelle contrade di Caprarico Sottano e Centro, di Gannano, Centotomoli, Vallo, vivono oggi una settantina di nuclei familiari, in anagrafe 162 persone. L’8 maggio è stato pure festeggiato il Cinquantenario della Parrocchia, con mons. Francescantonio Nolè, vescovo della diocesi di Tursi-Lagonegro. “Pastoralmente, le anime sono 230”, precisa il Teatino padre Igino Rosin, originario di Vicenza, definitivamente nel borgo dal 1989, “una ventina sono bambini e ragazzi sotto i tredici anni, ma già dagli anni Novanta sono state soppresse la sezione di scuola dell’infanzia e le (pluri)classi di scuola primaria”. Poi ci indica il campanile, in condizioni precarie: “I ferri sono scoperti, forse è a rischio?”. I residenti diffidano, pochi hanno accettato di rispondere. Un signore si è perfino arrabbiato, volendo impedirci di fotografare. L’unica spiegazione può scaturire dal diffuso e non sanzionato abusivismo delle costruzioni (dell’Ente Riforma), mentre, dopo tanti anni, andrebbe risolto in un senso o nell’altro, comunque. Ne consegue che le abitazioni ottengono una manutenzione al minimo indispensabile, lasciando quelle poco utilizzate all’incuria del tempo e del clima, mentre quelle abbandonate cadono a pezzi. Su tutto domina uno stranissimo ed eloquente silenzio. Un viaggio ravvicinato a Caprarico, si rivela a ritroso nel tempo e nella mentalità popolare.  “In una condizione di generalizzata solitudine”, appella Gino Falciglia, unico distributore di benzina, “tutti gli amministratori pubblici dovrebbero capire le ragioni pressanti di una così forte richiesta di intervento e di cambiamento”.

ANTICO ED IMPORTANTE POSSEDIMENTO, OLTRE CHE LUOGO STRATEGICO DI TRANSITO

L’antico borgo di Caprarico ha avuto una sua dignità storica, soprattutto per la posizione strategica dei collegamenti lungo il fiume Agri, un tempo parzialmente navigabile. Passava di qui, infatti, l’antica via romanica che da Metaponto porta(va) a Grumento e quindi in direzione di Potenza o Salerno. In tal senso fu utilizzata nell’epopea del brigantaggio da eserciti regolari e fuggitivi. La fortuna storica e agricola è legata alla grande e nobile famiglia dei Donnaperna, “Marchesi di Colobraro, Baroni di Pomarico, Caldera, Teana, Carbone, possessori delle tenute di Scanzano e Caprarico”, originaria di Milano e filospagnola, poi sostenitrice dei Borboni. Verso la fine del ‘600, Giulio Cesare Donnaperna prese in fitto dal duca Giovanni Andrea Doria una masseria e un esteso terreno, dove si coltivava bambagia-cotone e grano ed era soprattutto molto idoneo al pascolo, trasformato presto in fertile area coltivabile, con vari frutteti. Tali migliorìe diedero origine a un contenzioso tra i discendenti dei due ceppi nobiliari, che terminò con un accordo nel 1769. “Agli inizi del Novecento, per una difficoltà d’eredità”, ci dice Rocco Bruno, storico locale, autore di un’interessante monografia sui Donnaperna, “l’on. Vincenzo Mendaia, originario di Roccanova, acquistò all’asta una parte del primo Palazzo del Barone e fece attivare l’ufficio postale. Il deputato, poi, vinse un duro scontrò elettorale con un discendente dei Donnaperna, Cesare di Senise, e con l’avvocato Luigi Ettore Cucari, tursitano, consigliere e presidente della Provincia di Basilicata. In seguito il parlamentare trasmise la tenuta al nipote Matteo Mendaia, residente a Napoli, che la passò all’unica figlia, Cherubina, poi in sposa al barone di Pontecagnano Raimondo De Bartolomeis, il cui figlio Marino De Bartolomeis è stato l’ultimo tenutario”.

Salvatore Verde