L'ansimo dell'occhio ha la voce di una
lacrima, in esso vive l'ultima volta il vissuto. Crepitano i corpi ed è lo
schianto di una cicala. Ecco, i lucani giorni sono i giorni in cui è arso il
pensiero di rinascere. Così vado verso la crepa dell'attimo
II
Tutto
si fa cuore. La natura delle cose è il motivo di un'altra vita. La
palpitazione. Non è forse questo lo sterminato sentiero dove il nostro spirito
assediato dal desiderio vaga e sferza il fascio dei nervi
III
Il
sole questo fiore senza stelo dove versa il nostro essere
IV
Nella
grotta la lingua oscilla appesa ai pensieri ed è la voce
V
Il
grido che butta un papavero avvolge la mente nella timpa del sonno
VI
La
vita dura più della morte
VII
Ancora
una volta le mani affondano nella pozza del sole, ancora sapersi vivo. Con lo
sguardo sfinito sulle cose, resta il desiderio della parola, il punto dove essa
si rivela, rivela la propria impotenza
VIII
Quello
che sopraggiunge è solo l'eco. Tursi, Aliano e Sant'Arcangelo, qui i passi
arroventati hanno segnato linee che suonano melodie divine nella memoria. Qui i
raggi si sono precipitati. I pomeriggi hanno in viso un pazzo
IX
La
poesia dell'agave ha pensieri carnosi, rigidi, dentati e aculeati. Il sangue è
verde come in un canto
X
Un
uomo ha infinite albe tremende
XI
Eppure
c'è un sole che avanza nella notte. È il cuore
XII
A
fùrie di ngi pinzà / o còse nd'u pinziere / all'andrasatte / ngi mòrene
XIII
Quando
leggo la poesia di Pierro una sensazione di verità s'impossessa della tana
silenziosa del cuore, una lama di luce attraversa la scorza della mia
resistenza
Alcune
parole non andranno mai perse, jaramme, piscone, pacce, foche,
lagne, zanne, gghiòmmere vivono e s'incarnano nel poeta, nella
voce tutte le cose trovano il proprio nome e in esso si rivelano
Poeta
solo poeta Pierro
Pochi
hanno saputo illuminarci sul ciglio della morte, là dove la vita brucia e
risplende.
I
versi che ci fanno. "Io non lo so perché / ci penso tante volte / prima di fare
una cosa // forse sarà così: / non vorrei farla nascere mai, / per il fatto che
deve morire."
In
cuore a quest'uomo il senso lirico è stato il sangue pompato attraverso il
nerbo della gioia e del dolore.
Il
dialetto è la lingua di noi tutti, la voce che condanniamo, che bastoniamo
tutte quelle volte che cominciamo ad essere. Ancora verso la notte mi
accompagno a lui, molti sono i poeti che ci evitano, mi pare di essere trai due
Don Albino, uno era quello ch'era morto, l'altro era quello ch'era nato
Bisogna
scannare lo stato asinino che c'è in noi, se non vogliamo sia lui a scannarci.
C'è qualcosa che deve nascere in noi, ma non può nascere se non uccidiamo i
nostri infiniti noi
Tu poeta, tu poeta
XIV
La
luce serra le labbra e il fiato spezza la sua radice. L'uomo non saprà mai dove
sbattere il suo destino
XV
Il
fascino più grande della vita è la semplicità ─ il
movimento delle cose che sono
Domenico Brancale
Domenico Brancale, nato a
Sant'Arcangelo in Lucania, vive tra Bologna e Venezia .Ha pubblicato le
raccolte di versi Cani e porci (Ripostes, 2001), O jacc di ll'
uòcchie (Porto dei santi, 2002) e Canti affilati (Franco Masoero
Edizioni d'arte, 2003); e curato un libro di immagini sulla scrittrice Cristina
Campo (Ripostes, 2002). Ha collaborato con Tobias Eisermann alla prima
traduzione in tedesco delle poesie di Albino Pierro. È uno dei fondatori del
libro-rivista 'a camàsce.
Nel 1999 ha
ricevuto il premio menzione speciale Dario Bellezza.
Suoi testi sono apparsi su :
"Frontiera immaginifica", L'area di Broca", e "Il Cormorano".
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