A proposito di
dialogo interreligioso di Raffaele Pinto
Encicliche, incontri, seminari,
decine di saggi e centinaia di articoli sono stati scritti, negli ultimi
quarant'anni, in relazione all'importanza socio-culturale ancor più che
teologico-spirituale di intavolare un sereno, equilibrato e proficuo dialogo interreligioso.
Ciò che, però, non viene mai
considerato abbastanza è il fatto che le religioni ‘camminano' sulle gambe
degli uomini e che ad alcuni uomini del messaggio di pace e fraternità portato
dal loro ‘credo' non interessa più di tanto.
Questo è valido, ahimè, per tutte
le confessioni: quando prevale l'integralismo, magari ben mescolato ad una
buona dose di ottusità, la polpetta avvelenata dell'odio interreligioso (ma
anche interraziale, interculturale, etc.) è bella e servita.
Pensavamo, tuttavia, che alcune
confessioni, magari anche facilitate dalla loro collocazione geografica,
fossero assolutamente immuni dal virus dell'odio: ma ci sbagliavamo.
Chi pensava, ad esempio, al
buddismo come alla confessione degli infiniti silenzi, delle meditazioni trascendentali,
dei trilli armonici o dissonanti dei campanellini e dei fruscii dei saii
arancioni, leggendo le cronache recenti rimarrà sbigottito.
Infatti, in Birmania, a causa
della predicazione fanatica di un monaco integralista di nome Wirathu, lo
scontro teologico-culturale con l'Islam soprattutto ma anche con le altre
confessioni (tra cui quelle cristiane) si è fatto negli ultimi tempi davvero
acceso ed ha assunto toni inaspettati.
Secondo Wirathu, oltre che essere
la religione del perdono e dell'amore, il buddismo deve essere una religione
rivendicazionista, tesa cioè ad affermare la propria predominanza etnica, culturale e religiosa laddove da sempre essa
detiene, in un certo senso, il ‘monopolio' delle anime.
Peccato, però, che il messaggio
infervorato del monaco birmano sia stato causa di decine di morti (per le fonti
governative) se non proprio di centinaia (secondo le fonti non governative)
soprattutto fra gli islamici residenti nel piccolo paese orientale.
E come in tutte le escalations di violenza l'odio
buddistico birmano anti-islamico, ad
effetto domino, ha scatenato una reazione uguale e contraria nei paesi
vicini a prevalenza musulmana in cui, ora, essere buddista può costituire un
problema.
A noi che guardiamo da lontano a
queste tristi vicende non rimane che riflettere sul fatto che perdono,
comprensione e fratellanza non sono solo concetti spirituali o slogans
comportamentali ma valori profondi, universalmente condivisibili, che, alla
fine, preservano, oltre che la pace, anche la vita.
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