Il Papa secondo Moretti e la Pasqua di Lostaglio
Habemus Papam
di Nanni Moretti
"La messa è finita" ... Ma noi non andiamo in pace. Potrebbe essere l'incipit di
una riflessione partendo dal finale del film che Nanni Moretti propone
non senza il gusto di provocare, di irritare forse, ma pure di condurre ad una
placata riflessione. "Habemus Papam" non lascia scampo a irrisione o a false interpretazioni
estetiche.
E' un film duro, forse il più acuto rispetto ai suoi precedenti, ma
di certo è sincero nella consapevole ricerca di una Disfatta che appare chiara,
ma che forse nascondiamo per pudore, per una vereconda speranza che ci sia
ancora molto da salvare. Moretti affonda il suo sguardo nella profondità delle
incertezze, del dubbio di rappresentare nella fede milioni di persone che ancora
sentono il bisogno di essere rappresentati, di credere nonostante tutto in un
Dio che li spinga ad andare avanti. Nonostante tutto. Eppure quel finale non
lascia scampo: il Balcone più noto del mondo, il camino delle fumate bianche
rimarranno vuoti, nelle lacrime e la disperazione di una Messa finita.
Irrimediabilmente?
Moretti da un ultimo colpo di reni, durante la sua
(psicanalitica) presenza in Vaticano, per consolare un Pontefice appena eletto
che sente addosso il peso di non poter assolvere al divino mandato pastorale. Un
Peso maiuscolo che lo psicologo Moretti cerca di indagare da non credente, da
colui che pretende di risolvere il caso come un caso qualsiasi. Il colpo di reni
sta appunto in questo: si può con leggerezza quotidiana "risolvere" un dilemma
così rilevante per l'umanità? Moretti si aggira fra i cardinali scardinando la
potenza del loro ruolo e minimizzando - ad una partita a pallavolo o a briscola
- il gioco dell'esistenza che preclude attività umane ben più consistenti e
faticose per quell'uomo chiamato a
rappresentare tutti gli altri, ad indicarne la rotta.
Sta nella leggerezza
del Peso dunque la ricchezza di questo messaggio. Non già "il disorientamento
senza redenzione", non già un "sacerdozio desacralizzato", ma la visione
utopica e forse onirica di avvertire il Peso della guida come il momento di
cognizione e presa di coscienza (finalmente!) di chi siamo e cosa ci attendiamo
dagli altri. Fede o non fede, credere oppure no, ma l'elemento che congiunge in
questo film (il più politico di Moretti) è la ricerca di uscire dal baratro
della solitudine, abbracciando gli altri in un messaggio che coinvolga nell'amore,
il più totale possibile. Messaggio forte e dinamico, giovane seppur delegato a
cardinali così avanti negli anni. Un film politico, religioso quanto ecumenico.
Lo
sconcertato papa Melville (sublimato nel film da Michel Piccoli)
richiama
nel nome la "balena bianca", la stessa che si barcamena a disagio
nell'oceano
dell'io più profondo. Ma il suo disorientamento attiene ad ogni uomo che
si
pone interrogativi. A ciascuno di noi, figuriamoci a chi rappresenta un
miliardo di credenti. E' un papa umanissimo questo di Moretti, che nel
finale
non lascia quella pace scontata che vorremmo. Non si legge nel Vangelo
(Matteo,
10, 34) "non sono venuto a portare la pace ma la spada"? Certo, una
spada da sguainare
contro ingiustizie e vessazioni. A questa riflessione
vorrà condurci questo film? Si può ipotizzare, seguendo una logica
prepolitica
e non già di blasfemie o presunte irritazioni e boicottaggi. Per questo
devono
vederlo non solo i credenti (di qualunque fede) ma
anche chi non si riconosce nei dogmi. Tutto funziona in questo film
difficile e
coraggioso: gli attori, le ambientazioni, persino le comparse; un po'
meno la
figura di Moretti-attore-psicanalista, ma forse sta nella sua
leggerezza/estraneità
il contraltare di un film eccessivamente gravoso, ambizioso nello
scardinare i dubbi e guardare a fondo lo specchio deformato di un
Occidente che
dovrà (necessariamente) trovare nuove rotte.
Armando Lostaglio
Celebrare la
Pasqua. Lo svegliatore notturno
Per i credenti potrebbe sembrare fin troppo "facile" celebrare la Pasqua,
andando in chiesa (la loro) scambiarsi i consueti "auguri" e poi rientrare nel
proprio mondo, ai lavori usati. Alle mestizie e alle
contentezze quotidiane, con la coscienza a posto. I non credenti, quelli che
salutano il giorno con il pragmatismo e la positività senza orpelli, anche loro
combattono lotte parallele e comunque non meno
difficili anche sul piano umano, senza avere un proprio Dio a riferimento. Per
coloro che la vivono con intensità, malgrado tutto, la Pasqua è rinascita, è
Resurrezione. Sovviene una riflessione di una grande scrittore del Novecento,
Giovanni Papini, di recente "rispolverato" da un editoriale di mons. Gianfranco
Ravasi, che ci ricorda, con slancio di modernità e lungimiranza, la condizione
umana, la contemporaneità abbruttita troppo spesso di banalità.
Lo intitolava
"Lo svegliatore notturno", sarà proprio lui che risorge nella notte di Pasqua.
Ecco cosa scrive Papini. "In un mondo dove tutti pensano soltanto a mangiare e
a far quattrini, a divertirsi e a comandare, è necessario che vi sia ogni tanto
uno che rinfreschi la visione delle cose, che faccia sentire lo straordinario
nelle cose ordinarie, il mistero nella banalità, la bellezza nella spazzatura. È
necessario uno svegliatore notturno che smantelli per dar posto alla luce.
(Giovanni Papini). Così commenta il cardinale Ravasi, intellettuale oltre ogni
misura: "Il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges un giorno confessò il suo
amore per Giovanni Papini «immeritatamente dimenticato».
Effettivamente, superando la scorza della sua enfasi veemente e del suo
sdegno
permanente, la voce di questo autore fiorentino meriterebbe di risuonare
nei
nostri giorni così grigi e annoiati, nei quali domina la tetrade da lui
evocata: «Mangiare, far quattrini, divertirsi, comandare». Giorni
grigi ed annoiati - ci ricorda l'alto prelato - giorni di confusione,
ovvero di
"normalità eterna" (da una canzone di Fossati),
di freddezza malgrado avvolti in una primavera che stenta a rinascerci dentro.
Eppure i segnali sono tanti per restare svegli anche di notte: le paure di un
mondo che brucia e che "trema"; ma la luce accecante di
una resurrezione, valga sempre ad illuminare il cammino. Da credente è forse
più "facile", ma sarebbe facile anche per chi guarda al firmamento e gli
sovviene quell'ansia di speranza suggeritagli da Dostoevskji nelle Notti bianche. E' tuttavia tempo di guardare al crocefisso,
lo stesso che non pone
nessuna discriminazione. Tace. E' l'insegna della rivoluzione. Rimuoverlo dalle
coscienze lascia sulla parete "la propria sindone di orli grigiastri".
Armando Lostaglio
Non
volava
verso
grandi orizzonti
in alto al di là
dei monti
Non entrava nelle
cattedrali immense
dove i preti
celebravano messe
Era andata a
cercare lontano
un popolo che
gli tendeva la mano
e dentro al sorriso
più audace
lì, si era posata
la colomba di pace.
Impressioni
d'aprile - I giovani in politica: "voglio candidarmi..."
Rionero in Vulture. Manifesti sui muri e volantini nei locali: uno di
questi fa appello ai sindaci che verranno eletti a breve nei Comuni maggiori -
Melfi e Rionero - a sconfiggere se è possibile la parentocrazia, male endemico
del Sud che da noi è alquanto sviluppato. Intanto, in questi giorni di convulse
trattative per definire le liste, con la crisi dei partiti e di idee
illuminanti, trapela pure qualche voce sulle impressioni prima ancora che sul
toto-nomi. Fa specie qualche dichiarazione sottovoce di alcuni trentenni probabili
candidati a "riempire" ovvero rendere credibili le liste. Da una di queste (del
centrosinistra) è filtrata una ingenua quanto affranta dichiarazione: "voglio
candidarmi perché voglio pensare ai fatti miei..."
Una voce sincera, certo, ma
che la dice lunga in quale stato di decadimento umano e sociale sia giunta
l'amministrazione della cosiddetta cosa pubblica. Non si può dar torto a
quella o quelle persone che intendono (con la eventuale elezione) mettere a
posto le proprie cose, vista la crisi sempre più devastante che penalizza
soprattutto i giovani. Soprattutto loro, che hanno formato la propria coscienza
civica negli ultimi quindici vent'anni: la barbarie mistificata dal consenso.
Proprio qualche giorno fa, dai pulpiti cattolici veniva inviato il messaggio ai
giovani di andare via da questa regione, piuttosto che soggiacere al ricatto
della partitocrazia, del compromesso del potere forte. No, proprio non viene di
dar torto a quei giovani. Hanno compreso come vanno le cose magari a loro
spese. Perché a loro non è stato concesso di bagnarsi alla fonte della
solidarietà, della convivialità, del confronto ideale: sono cresciuti (magari
in fretta) nella logica delle "tre I", l'efficientismo fine a se stesso e non
già ragione di incremento di crescita collettiva. Il precariato se va bene.
Non
hanno colpa quei giovani. Ancora nessuno avrà loro ispirato che "Una democrazia
che si fondasse veramente sui sentimenti, non saprebbe cosa farsene di quei
visi infelici, che superano la soglia del pudore per sopravvivere ad una
felicità che non sanno regalare perché non conoscono." Avranno mai
suggerito di leggere qualche pagina di Sturzo e don Milani, di Salvemini
e Gramsci, di Fortunato e Dorso? O la visione di un film perfetto come "Le mani
sulla città" di Rosi. E' probabile che la tradizione si perpetui: li manderanno
allo sbaraglio, come ad una "Corrida" senza speranza, possibilmente si valuterà
solo la provenienza da una "famiglia" numerosa. Mentre i giochi si fanno sopra
le loro teste. E le nostre. "Le idee che vanno a morire senza farti un saluto"
è quanto ci accade ormai da qualche decennio: canzoni di fuoco e di speranza.
Può risultare di qualche minima (non banale) riflessione l'invito all' ascolto
di brani proprio sulla democrazia: ce li suggeriscono poeti come Gaber e
Fossati, di una generazione passata, che ancora voleva nutrirsi di belle
speranze. In parte tradite.
Armando Lostaglio
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