Il restauro della piazza Plebiscito
Il
Restauro di una piazza va bene, ma non tutti i restauri vengono eseguiti
tenendo conto del vissuto. Nella piazza
Plebiscito di Tursi, all'ombra del palazzo del Barone Brancalasso, del palazzo
Pierro e della Chiesa del Santo Patrono San Filippo Neri, le vecchie pietre del
600 sono state "rapite" e portate in discarica a San Giorgio Lucano, per
frantumarle. Al loro posto altre pietre e marmi con trame e disegno ad effetto cimiteriale. Lastre grigie nuove di zecca coronate, più
volte, da pietra marmorea rosa e delimitate al bordo esterno con la vecchia
pavimentazione.
La piazza era un palcoscenico in pietra locale lavorata a mano
dai nostri cavatori, carrettieri, manovali e scalpellini; era la piazza
principale di Tursi sino agli anni 50. La sua caratteristica urbanistica è
tipica delle piazze del seicento inizio settecento, quando le classi al potere
( i ricchi borghesi, il clero ed i funzionari del re borbonico) per apparire,
costruivano le loro dimore mediante la realizzazione di palazzi imponenti, funzionali e lussuosi in adiacenza
alle piazze principali. Chiese, palazzi, piazze erano, quindi, disposti nello spazio
urbano più appariscente e come un grande palcoscenico. Gli spazi ampi,
antistanti i palazzi e le attigue chiese, erano necessari (nel 1600) per le
grandi manifestazioni pubbliche e per i riti della nobiltà:
parate
militari;
matrimoni
e funerali.
Un legame storico - architettonico della
piazza Plebiscito di Tursi è
riscontrabile con la congregazione di San Filippo Neri, ordine impegnato in opere
assistenziali e legato a una concezione di una vita religiosa semplice e umile,
ordine che si insediò in Tursi all'inizio del ‘600 influenzando lo stile di
vita e di concepimento dell'urbano mediante l'utilizzo di materiali poveri come
la pietra, il mattone, il legno, l'intonaco e lo stucco, dando particolare
prevalenza ed attenzione alle facciate e agli spazi urbani, che dovevano avere
un gran risalto plastico tale da produrre
un effetto intenso di dinamismo nei canoni di un raffinato gusto
orientato verso il neoclassicismo. Tipica è la facciata dell'attiguo palazzo
del barone Brancalasso ora di proprietà
della famiglia Camardo, eredi diretti
del barone, che nella sua monumentalità oltre a riflettersi il rango e
l'importanza della famiglia proprietaria, si riflette l'importanza della
piazza.
L'esito estetico attuale, deciso dai signori del municipio di Tursi,
è osceno, tombale, un intervento inutile
e controproducente. Uno scrittore irlandese Brian O' Nolan diceva che le
strade e le piazze sono i più antichi tra i monumenti umani e pertanto vanno
tutelate alla stregua di palazzi, chiese e statue. Una scelta dissennata quella
di sostituire le vecchie pietre con variegate lastre moderne lavorate
industrialmente. La nuova piazza è maturata stentatamente, pallida e fredda, un quadro
confuso, una polverizzazione delle competenze, la mancanza di una visione
chiara sulla piazza, sul suo valore, sulle regole stesse del restauro, hanno
trasformato la ripavimentazione in un colossale pasticcio. Un risultato che, dopo i lavori, darà alla luce
una piazza con un patchwork sperimentale ad almeno cinque variabili: pietre
ammalorate a macchina, pietre con fuga stretta, e pietre con fuga larga, pietre
disposte a correre e pietre messe a opus incertum. Un' immagine, quel
patchwork, che farà sorridere i turisti, che mortificherà i tursitani
narcisisti e tradizionalisti, e che avvelenerà i cultori del restauro.
Bisognerebbe intervenire senza sottrarre
alla gente quei luoghi concepiti per essere visti e goduti tutti i giorni, ma
ci vuole buongusto e buona amministrazione e non capisco perché le
Soprintendenze, che dovrebbero essere la magistratura delle arti, non siano
intervenute. Il tutto continua a svolgersi nel chiuso delle stanze dei bottoni.
Quest'ultimo scempio porta la firma della amministrazione del Sindaco Guida ad
ulteriore dimostrazione che non sono le sigle a modificare la sostanza delle
cose. C'è bisogno di un profondo rinnovamento culturale della classe politica
di cui, al momento, si intravedono solo timidi segnali.
Il Restauro e la protezione
dei beni architettonici e urbani sono
interventi seri che incidono sul vissuto e sul futuro e che investono
generalmente il campo di attività dell'architetto, un architetto però che, se
pur particolarmente preparato nello specifico settore di cui si parla, sia
capace, con quella umiltà che in questo caso è sinonimo di alta consapevolezza
critica, di utilizzare la sua creatività per conservare ed esaltare, con il suo
intervento, l'assoluto protagonismo della preesistenza.
arch.
Francesco Silvio Di Gregorio
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