La
disfatta
Chi
viaggia intorno ai cinquant'anni, che ha amato le geometrie del calcio, che ha
sudato e poi ha appeso le scarpe al chiodo,ha contato l'evoluzione della
propria età, dei suoi anni, con i mondiali di calcio: di quattro in quattro. L'Italia
azzurra dalla disfatta con la Corea dei mondiali del '66, quelli che la "regina
d'Inghilterra era Pelé" (Venditti), nei quartieri di pietra di Rionero aveva il
rumore cupo del televisore rotto con un pugno da un certo Imbriani, così almeno
ce la raccontavano.
E poi la
rinascita: l'Europeo vinto nel 1968, memorabile notte
in bianco e nero con Riva ed Anastasi eroi
di razza. Quindi il mondiale di Mexico 70, Italia-Germania 4 a 3, con
lapide
sullo stadio Atzeco , appagante ed irripetibile, che farà abdicare
all'elevazione
di Pelé per il 4 a 1 della finale: ma il primo tempo si chiudeva con l'1
a 1, e
Rivera che nella staffetta con Mazzola non entrerà che nei minuti
finali: ah! quel
Ct Valcareggi. La Tv era vista in notte fonda, esultanze da folli per
strada,
delusione compresa. Preludio alla disfatta di Germania, 4 anni dopo,
usciti al
primo turno, (come in questo 24 giugno sudafricano) con Chinaglia
sostituito che
esce dal campo arrabbiato contro il Ct. Seguirà la brillantezza dei
giovani
azzurri di Argentina 78, la nostra generazione, quella degli imberbi
Cabrini, Tardelli, Rossi e Bettega, diretti da
Bearzot, di buon auspicio già dalla sigla scritta dal nostro Ennio
Morricone. E
poi l'apoteosi degli stessi calciatori nel 1982 in Spagna: Campioni del
mondo!
Campioni del mondo! Campioni del mondo! esclamato da Nando Martellini,
l'impareggiabile
della telecronaca discreto e mai banale. 3 a 1 alla Germania e in
semifinale 3
gol al Brasile di Falcao e Socrates, realizzati da Paolo Rossi: è già
storia. E
il presidente Pertini che gioca a scopone con Causio, Zoff e il Ct
Bearzot. Poi
altra disfatta: mondiali del 1986, superiamo il turno ma si esce agli
ottavi,
per colpa della Francia di Platini. 1990: i mondiali sono di casa, ma
non si
arriva che terzi, Maradona è il re indiscusso, lo è stato ma solo in
parte
nell'82, nell'86, e a Italia 90 non supera la finale battuto dalla
Germania del
dopo Muro. Anni di tv a colori, di piccoli grandi schermi di gruppo, ma
la bramosia
è sempre nobile. Poi negli Stati Uniti del 1994: quel mondiale ha
l'immagine
del già codino Roberto Baggio, a guidarci in finale, battuti solo ai
rigori dal
Brasile; sempre loro, campioni indiscussi, a dettare regole e a
divertire. Il 1998 è francese come pure l'Europeo due
anni dopo, momenti d'oro per loro guidati dallo juventino Zidane (che si
giocherà l'epilogo di carriera e la faccia al mondiale 2006).
Il 1992 è
asiatico, estremo oriente con il funambolico Trapattoni in panchina, fra
schizzi di rabbia e fiotti di acqua santa. Bei gesti ma poca strada: si è
sempre fra le squadre da battere, ma poi si viene battuti. E quattro
anni dopo
campioni del mondo, dopo 24 anni dall'apoteosi di Spagna, 12 anni dopo
vicecampioni in USA 94. Di 12 in 12 insomma, con gli intermedi
campionati
europei quasi sempre incolori. Il 2006 è di Gattuso e Totti, di Buffon e
Pirlo,
di Del Piero e Grosso, che battono in Germania i padroni di casa e
soprattutto
i sempre forti francesi in finale: li battiamo ai rigori finali, una
volta
tanto gira dalla nostra dagli 11 metri. In
panchina è il grigio Claudio Lippi, che infonde fiducia, e fa credere di
voler ripetere
in questi mondiali del Sudafrica una
impresa che era riuscita solo nel 1934 e nel 1938 agli azzurri del
pallone di
cuoio legato con lo spago. In queste ore invece brucia la disfatta, il
tutti a casa, il rompete le righe con
l'immagine più bella che rimarrà affogata nelle lacrime del napoletano
Quagliarella,
pochi minuti da mondiale i suoi, mentre il resto della squadra è da
dimenticare, specie per quel terzo gol preso da un fallo laterale:
neanche nei
campetti di calcio agli albori della San Tarcisio di Padre Carlo, in una
parrocchia rionerese. Finisce nel tracollo azzurro, ma un po' peggio è
andata
alla Francia allenata da un ignobile Domenech.
Lo stadio
finale, l'Ellis Park, è quello celebrato dal grande cinema di Clint
Eastwood nel suo ultimo ennesimo capolavoro, Invictus, su Nelson
Mandela,
l'eroe nazionale sudafricano dei Bafana (che poi vuol dire ragazzi nella
locale
lingua xhosa). Era pure un 24 giugno (nel film) quello della
riunificazione contro
l' hapartheid grazie allo sport, 24 giugno come il nostro della disfatta
con i pur
modesti Slovacchi. 2010: i mondiali del presidente Mandela, l'eroe
magnificato pure
da un altro film, diretto pochi anni fa da Bille August, "Il colore
della
libertà - goodbye bafana". Proprio l'allegria
dei bafana, dei calciatori sudafricani che cantano e ballano prima e
dopo la
partita comunque vada, sarà l'immagine indelebile di questo mondiale
2010, in
quella terra remota che profuma di rinascita. Come quella azzurra,
speriamo. Fra
quattro anni, ancora.
Armando
Lostaglio (24
giugno)
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