Bologna - Scrivo dopo le notizie sul delitto di Policoro, davvero assurdo, tanto che non riesco proprio a capire, per aggiungere una testimonianza sull'immigrazione, che, come saprete, mi tocca personalmente. Sul numero precedente del bimestrale, ho letto con molto interesse ed emozione le parole di Pasquale MASTRANGELO (a stento l’ho riconosciuto nella foto), deceduto proprio da poco. Ritengo, però, in genere più oggi rispetto al passato, che uno che abbia il lavoro sicuro anche se un po’ lontano da casa, non possa, a mio parere, essere definito pienamente un emigrante (basti pensare a quanti, sopratutto oggi, lavorano in trasferta o sono costretti ad andare dove la propria ditta li manda, mettendoli nella difficile situazione: o così o licenziati). Il vero emigrante (non intellettuale) è chi (come me) si è messo in viaggio in cerca di … fortuna, senza sapere dove andare e cosa fare. L'importante era lavorare. Inoltre, (naturalmente parlo della mia generazione): siamo sicuri che chi andava via lo faceva solo perché non trovava lavoro? C’è stata anche una minoranza che ha scelto di emigrare per puro spirito avventuroso-pioneristico, oppure per dare una svolta alla propria vita. Con tutto il rispetto per il periodo della “vecchia guardia” di immigrati degli anni Cinquanta (ho letto anche altri nomi), a parer mio, è più difficile emigrare ai giorni nostri. Nella società attuale esiste più diffidenza, c’è poca fiducia, meno disponibilità, anche per l’immigrazione progressiva. Allora eravamo di meno e ci si aiutava maggiormente, mi dicono i più anziani, senza nascondersi le difficoltà e le discriminazioni, che pure ci sono state, in patria e fuori. Anch’io posso confermare. che, quando nel 1974 arrivai a Bologna (ma il trasferimento di residenza avvenne il 3 maggio del 1977), avevo allora sedici anni, la situazione generale era diversa, poiché non era raro trovare ancora qualcuno sensibile alla solidarietà. C’era quasi un senso collettivo di ricostruzione morale. Figuriamoci quando la guerra era da poco finita e il boom economico decollava, eccome ci si aiutava. I problemi che l'emigrante attuale deve affrontare sono altri, perciò, come, ad esempio, l'umiliazione, il rifiuto, l'emarginazione. Oggi come oggi, l’offerta riguarda solo lavori manuali e duri, che nessuno vuol fare, e ti pagano pure poco, mentre non ti affittano nessun appartamento. Mi ritengo un fortunato ad essere arrivato al (mio) limite, consentito ad un emigrato nelle mie condizioni. Un altro fattore da considerare per chi va via è la nostalgia per il proprio paese e la propria gente, anche grazie ai problemi sopra elencati che non sono da poco. L'emigrante rimane legato ai ricordi, forse costantemente e per sempre. Chi, invece, ogni fine settimana torna al suo paese, magari non si pone proprio il problema. Personalmente penso spesso a Tursi, alle persone che conosco e a quando ero ragazzino. Posso assicurare che mi piacerebbe moltissimo rivedere i luoghi e la gente che da tanto non vedo. Paradossalmente, però, quello che mi trattiene è che, in un certo modo, ho fermato il tempo. Insomma, mi illudo che tutta quella gente e tutti quei luoghi che ho lasciato siano come 31 anni fa. E, indirettamente, questo è l'augurio che faccio a tutti loro, che restino sempre giovani dentro e in salute. Però, se qualcuno mi dovesse accusare di non nutrire alcun interesse per il mio paese, solo perché ci ritorno pochissimo, vorrei rispondere così: i veri amici sono come le stelle, ci sono sempre, anche quando non le vedi. Perciò, da oltre tre decenni e con l’intensità dell’immaginazione, sono sempre lì a parlare con voi tutti e con mio padre, mentre abbraccio affettuosamente tutti i tursitani. Da un emigrante. Angelo Verde
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