Ogni
comunità che si rispetti ha la sua buona suddivisione dei
ruoli, ognuno al suo interno si occupa di qualcosa in modo tale che
il suo apporto sia funzionale agli interessi del gruppo di cui fa
parte. Possiamo affermare che ogni individuo attraverso il suo
operato soddisfa gli interessi dell'intera collettività e il
beneficio pubblico che ne consegue contribuisce alla soddisfazione
dello stesso individuo. A partire da questa considerazione, fin
dall'antichità, ogni villaggio, ogni paese e poi con il
progresso tecnologico e sociale ogni agglomerato urbano, si sono
dotati di una divisione dei ruoli che altro non era che una divisione
dei lavori indispensabile al buon funzionamento della comunità
tutta. C'era quindi l'artigiano, il contadino, il professore, il
garante dell'ordine pubblico, l'amministratore, il ragioniere e
così via. Ancora oggi la situazione è sostanzialmente
identica seppure con una crescente complessità e varietà
di lavori dovuta al mutato contesto storico-culturale. E poi c'era
immancabilmente uno strano e strampalato individuo che a qualsiasi
ora si aggirava per le viuzze e le piazze del paesino. Questo strano
individuo (a seconda delle dimensioni della comunità possono
essercene diversi...) era per alcuni la variabile impazzita, per
altri un'inspiegabile eclissi del pensiero, oppure una sorta di
temporale estivo, certamente un fattore di destabilizzazione
imprevisto ed imprevedibile, era il folle, il pazzo, lo scemo del
villaggio.Oggigiorno
le piccole comunità sono ormai del tutto scomparse, hanno
lasciato il posto a nuove forme di urbanizzazione,ma ancorché
in scala più vasta e sotto diverse angolazioni, la divisione
dei ruoli ripercorre più o meno fedelmente quella di una
volta. I mutati fattori stressanti , le diverse condizioni di vita,
il progresso tecnologico, hanno reso più difficoltoso
affrontare le insidie quotidiane accentuatesi anche dal senso di
precarietà dilagante (tipico soprattutto della condizione
giovanile) e da uno strisciante sentimento di impotenza. Questi ed
altri elementi hanno portato ad un paradosso inquietante:
l'inconfutabile miglioramento della qualità della vita
procede di pari passo con un numero sempre maggiore di individui che
ricorrono alle cure di psicologi e psichiatri.
Le
sfide cui siamo chiamati ad affrontare, su scala locale ma anche
indirettamente a livello planetario, il crescente egoismo, la ricerca
del successo a tutti i costi, non lasciano più spazio a quei
sentimenti comunitari di solidarietà ed affetto che fino a
qualche decina di anni fa si manifestavano genuinamente. In questo
modo nessuno sembra più in grado di raccogliere il dolore di
quanti non ce la fanno ad affrontare da soli le difficoltà
quotidiane, ci accorgiamo di quanti soffrono ma non percepiamo
esattamente la portata ed il senso del loro dolore.
La
nostra attenzione verso quelli che ho chiamato, bonariamente, gli
"scemi" del villaggio, è costituita solo dalla burla,
dall'etichettare, trattandoli come figli di un dio minore,
cittadini senza dignità, da scansare, o nel peggiore dei casi,
umiliare. Dimenticando il più della volte la natura non
congenita della maggioranza dei casi e quindi che nessuno di noi può
sentirsi esente e indifferente a questo problema, spesso infatti un
evento fortemente traumatico può facilmente farci scivolare
nel tunnel del disagio mentale.
Non
ci accorgiamo della loro importanza, soprattutto in piccoli centri
come può essere ad esempio la nostra Tursi, a livello
aggregativo, non abbiamo mai lontanamente considerato quanto questi
individui con la loro presenza costante e con i loro atteggiamenti
simpatici nella loro ricorrenza e persistenza frutto di gesti
ripetitivi e stereotipati che altro non sono che un loro forte
desiderio di ordine perlomeno esteriore, con il loro originale modo
di fare ci aiutano nel rafforzare il senso di appartenenza alla
nostra comunità, ci fanno sentire "noi" e non sempre e
soltanto "io".
Rammentiamo
purtroppo la loro presenza soltanto quando non ci sono più,
quando avvertiamo forte il senso del vuoto, quando passeggiando
percepiamo qualcosa di diverso e non riusciamo a spiegarci cosa,
soltanto allora ci rendiamo conto quanto la nostra indifferenza in
realtà era fittizia, in realtà noi li vedevamo ed
eravamo felici della loro presenza perché è anche
grazie a loro che ci sentiamo parte della stessa comunità,
della stessa famiglia, aumenta quello che viene definito sentimento
collettivo. Molte volte, tra l'altro, dietro questa apparente forma
di "non normalità" si celano veri e propri geni. Basti
ricordare al riguardo il grande matematico John Nash diventato famoso
anche grazie al film "A beautiful mind", affetto da schizofrenia
eppur capace di vincere il prestigioso premio Nobel. Si tratta di
scovare le potenzialità latenti di questi soggetti, restituire
loro la dignità della quale si sentono privati, coinvolgerli
nel tessuto sociale, sostenere le loro famiglie nell'affrontare le
problematiche giornaliere.
Non
tutti abbiamo la stessa forza d'animo, una personalità forte
e strutturata, sarebbe bello se chi nella vita ha patito meno
sfortune e discriminazioni potesse ogni tanto volgere il proprio
sguardo verso questi soggetti e fare loro un sorriso, dare loro una
mano, ascoltarli, spronarli, motivarli, farsi partecipe dei loro
disagi. Forse si sentirebbero meno soli, anche più
responsabilizzati, si sentirebbero quello che in effetti sono,
uomini, consapevoli di essere stati travolti dal vortice della
follia, ma anche pronti a lottare per uscirne se chi tende la mano
non la ritiri all'improvviso per prendersi ancora una volta gioco
di loro, già vittime purtroppo di uno scherzo ancora più
grande giocato dal destino.
Roberto Calciano
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