Nella prima metà del secolo scorso, nel nostro paese, gli approcci amorosi fra gli aspiranti fidanzati erano difficili, per mancanza di libero incontro e dialogo. Erano abituati a vivere separati: nelle scuole, nelle chiese, nei locali pubblici ed in altre occasioni di riunioni, si stava sempre divisi, i maschi da una parte e le femmine dall’altra, senza potersi scambiare qualche parola, ad eccezione di qualche fugace sguardo. Quando le ragazze non andavano a lavorare nelle campagne o altrove, stavano in casa ad aiutare la madre nelle faccende domestiche e ad approntare il loro corredo; alcune frequentavano le sarte per imparare il mestiere, che allora rendeva discretamente, ed altre andavano dalle monache per imparare il ricamo. Quando, invece, uscivano per rifornirsi di acqua presso le fontane pubbliche (allora le abitazioni erano prive d’impianto idrico e fognario, sarà bene ricordarlo) o per andare a fare la spesa e per altre esigenze, non erano mai sole, quindi non potevano essere avvicinate dai giovanotti. L’eventuale corteggiamento si svolgeva a distanza ed in segreto. Spesso si faceva uso di brevi messaggi scritti su pezzi di carta, recapitati agli interessati da bambini fidati che non destavano sospetti. Altre occasioni per vedersi, ma sempre a debita distanza, erano la domenica e i giorni festivi, mentre andavano in chiesa, dove i giovanotti e le signorine con la bocca pregavano il Signore e con il cuore pensavano al loro amore, scambiandosi, con la dovuta cautela, languidi sguardi significativi. Però, l’amoreggiare nella Cattedrale veniva spesso represso dall’Arciprete don Antonio Conte, che vigilava lungo i colonnati, dove erano soliti sostare i giovani spasimanti, e quando li sorprendeva in atteggiamento scorretto, li richiamava con qualche lieve pizzico sulle braccia o con qualche paterna tiratina d’orecchio.Insomma, erano i genitori che si preoccupavano del matrimonio dei figliuoli e, spesso, avveniva più per interessi che per amore, stabilendone condizioni ed entità della dote. I futuri sposi, per rispetto ed obbedienza, accettavano silenziosamente l’operato dei familiari, sperando di far fiorire nei loro cuori quell’amore che lega la coppia nel bene e nel male e di andare incontro ad un buon avvenire. Fatta la scelta, i congiunti del giovane oppure alcuni loro fidati amici, “i’mmasciateri”, si recavano dai genitori della ragazza per chiederne la mano, sempre con garbo ed abilità convincente. Se la proposta veniva accettata con opportuni accordi, il candidato alle nozze, accompagnato dai parenti, entrava in casa della ragazza il successivo giorno festivo. Dopo le formalità delle presentazioni, si dava inizio al fidanzamento ufficiale, con scambio di doni, degustazione di dolci e liquori caserecci e breve intrattenimento danzante, al suono dell’organetto e del vecchio grammofono. I fidanzati sino al giorno delle nozze si dimostravano cordiali e rispettosi; cercavano di affiatarsi e di comprendersi umanamente, ma senza valicare i limiti della morale dominante. Non potevano manifestare a proprio agio l’effusione amorosa, perché controllati costantemente. Scambiarsi un bacio era impresa difficile, perché la ragazza, pur condividendo il desiderio, cercava di sfuggirne le occasioni, per non tradire la ferrea disciplina imposta dai genitori. Ai loro incontri serali ed in altre ore del giorno presenziavano i familiari di lei. Partecipavano alle varie discussioni educatamente e stavano seduti un po’ distanti l’uno dall’altro, vicino al camino o intorno al tavolo, come in occasione del pranzo o della cena, quando osavano sistemarsi frontalmente e di rado, tra un boccone e l’altro, si guardavano con espressioni allusive. Era pure consuetudine che il fidanzato, al chiaro di luna delle prime ore della notte, rendesse omaggio all’innamorata con la serenata musicale. La diffusione delle note melodiose dell’organetto o chitarra e mandolino, svegliava e rallegrava anche il vicinato, mentre alla ragazza era consentito affacciarsi alla finestra o al balcone, la quale, dopo aver salutato e ringraziato il suo amato ed i suonatori, ritornava a letto felice e contenta.In occasione di qualche serata danzante, si eseguiva di più la tarantella, utile per scatenare la passione e per tenere distanziati i ballerini. Nei balli abbracciati, i fidanzati dovevano tenersi a debita distanza ravvicinata, muoversi con compostezza ed evitare di sfiorarsi con il viso ed il petto. Non sembri ciò esagerato, perché, aveva un senso preventivo. Infatti, in caso di eventuale rottura del fidanzamento, cosa che purtroppo accadeva spesso, la ragazza, essendosi mantenuta illibata, poteva fidanzarsi facilmente con altro giovane, altrimenti, rischiava addirittura di rimanere zitella.Alcuni giorni prima del matrimonio, nella casa della futura sposa veniva esposta la dote, per mostrarla alle persone del vicinato, nel pomeriggio veniva sistemata nei bauli e poi trasportata in festoso corteo nella futura abitazione degli sposi, con muli ornati di nastrini colorati e di un foulard di seta chiara, mentre gli oggetti leggeri erano portati ben visibili da ragazze e ragazzi.Il giorno delle nozze, sempre di domenica, si andava in chiesa a piedi ed in corteo solenne, che veniva aperto dalle damigelle, seguite dalla sposa sottobraccio al padre e poi, progressivamente dal futuro marito, accompagnato dalla madre, il compare e la comare d’anello, i parenti ed altri invitati. Ogni tanto venivano fatte esplodere delle batterie di tric-trac, anche per richiamare l’attenzione del pubblico, che, ai lati della strada o dai balconi e dalle finestre, salutavano gli sposi. All’uscita dalla chiesa, i neo coniugi venivano accolti sul sagrato da parenti e amici con il lancio di riso, confetti e monetine, alternandosi nell’abbraccio augurale, gesto poi ripetuto davanti al locale della festa e durante le danze. In tali circostanze si notavano dei ragazzini molto dinamici che facevano a gara nella raccolta dei confetti e dei soldini. I festeggiamenti ed il pranzo, non essendoci un ristorante nei dintorni, ma soprattutto per carenza di mezzi per poterseli permettere, avvenivano presso la casa di qualche congiunto od amico. Si procedeva subito al rinfresco, costituito da dolci, confetti e liquori e poi si ballava sino all’ora del pranzo, che avveniva in un altro locale vicino. Il menù era composto dal bollito di verdura con carne, salame, frittelle, una buona porzione di maccheroni (ziti, ovviamente), carne al sugo o con contorno di patate cotte al forno, insalata verde, ottimo vino e frutta stagionale. Dopo l’abbuffata di gustosi cibi, un invitato ritirava in un piatto e uno alla volta dai commensali l’offerta di danaro, con l’importo ed il nome dell’offerente ben scanditi quando veniva consegnato agli sposi. Subito dopo, per facilitare la digestione e per continuare a divertirsi, riprendevano le danze sino a tarda sera, allorché gli sposi, che non andavano in viaggio di nozze, raggiungevano a piedi la loro nuova dimora, stanchi, ma felici, accompagnati dai familiari e dal suono dell’immancabile organetto o di altro strumento. La mattina successiva venivano svegliati dal botto di una o più serie di tric-trac, quale segno augurale di lunga e felice unione, presto allietata dalla nascita di un maschietto. Un tempo non lontano di remota tradizione, dopo la più o meno stupenda prima notte coniugale, al mattino qualche sposa faceva vedere il lenzuolo del talamo alla suocera e ad altro stretto familiare, con riservatezza ed orgoglio, per constatare dalle lievi tracce di sangue la dimostrazione della sua verginità prematrimoniale. Il matrimonio, quale atto importante della vita dell’uomo e della società, va affrontato con serietà, responsabilità e gestito con scienza e rispetto dei doveri e diritti coniugali. Evitare che al minimo screzio ed alle varie quotidiane difficoltà esistenziali, tale antica istituzione venga frantumata con disaccordi e separazioni, a danno dei figli e della convivenza civile. Franceso D'Errico
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