Tra schermi riflessi e paesaggi lucani di Armando Lostaglio
Libreria del
Cinema a Roma: "Schermi riflessi fra cinema e televisione" di Armando Lostaglio
Una serata di elevato spessore culturale è stata proposta a Roma, nella
Libreria del Cinema, con la presentazione del libro di Armando Lostaglio
"Schermi riflessi - fra cinema e televisione" (EditricErmes).
Alla presenza di un folto pubblico, hanno esposto le proprie considerazioni
Juan Carlos Gallici (Università Cattolica di Rosario, Argentina), il
giornalista e critico del Corriere della Sera, Giovanni Russo, la saggista e
scrittrice Carmen De Stasio, la direttrice di Cinearte online Mara Pacella, il
presidente di Millennium Network Giustino Setteducati. Il confronto a più voci
è stato articolato, insieme all'autore, dalla regista Manuela Tempesta.
L'iniziativa è stata introdotta dal cortometraggio ispirato al libro, dal
titolo La
poetica di Blob, curato dal Cineclub Cinit Rocco e i suoi fratelli di Pietragalla;
presente anche l'autore Vittorio Vertone. Hanno inoltre portato il proprio
saluto i registi Giuseppe Ferrara (autore di molti film come "Donne di mafia",
"I banchieri di Dio"), Vittorio Di Giacomo (documentari sull'arte, Accademia
pontificia) e Giuseppe Piccioni ("Giulia non esce la sera", "Luce dei miei occhi").
Di rilievo anche la presenza di attori di origine lucana come Domenico Fortunato,
Cosimo Fusco, il giornalista e critico Franco Rina (direttore Cinemadamare). Il
prof. Gallici ha disquisito sul concetto della comunicazione, sulla rilevanza
sociale che ne deriva mediante una più avveduta concezione etica e politica,
elogiando il lavoro di Lostaglio per l'accurata riflessione nel connubio fra
cinema e televisione. Mara Pacella ha evidenziato il ruolo di Lostaglio nel suo
decennale ruolo di "animatore infaticabile di energie, amico dei più giovani che non dimentica di seguire ed esortare, cercando di contagiare quella poesia
della realtà, come cinefilo dalle mille curiosità e critico informato e
sottile: un creatore di spettacoli rimane un uomo fra gli uomini e che,
pertanto, il giudizio che ne viene dato dev'essere sempre ispirato all'uomo".
In
sintonia con questo, Manuela Tempesta, regista di avvalorata esperienza, ha
puntualizzato che "Schermi riflessi" è un volume
ricco di ponderazione sui contenuti della tv e del cinema. "L'autore - secondo
Carmen De Stasio - dimensiona quel processo meiotico che vede ormai la completa
scissione delle componenti di una società distribuita tra coloro che
intraprendono costantemente un viaggio alla ricerca di realtà sconosciute
(moderni Chatwin assetati di energia e di autoarricchimento) e una massa di
sudditi dell'ignoranza, il cui pensiero smette di funzionare in favore di una
schematizzazione che proietta un'immediatezza chiusura alla meditazione". Si è
ispirato al discorso di Bob Kennedy del 1968 (Kansas University), Giustino
Setteducati citando il senatore, che nel parlare del prodotto interno di una
nazione, metteva in luce che questo comprende anche "programmi televisivi che
valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini". L'editorialista
Giovanni Russo, decano dei critici, ha avvicinato la trattazione degli
argomenti di "Schermi riflessi" a quella influenza descrittiva cara a Beniamino
Placido (originario di Rionero in Vulture come l'autore), che ha saputo
guardare oltre la contingenza delle situazioni. Non ultimo, è stata evidenziata
la avvedutezza imprenditoriale di Cantine del Notaio di Rionero, nel
promuovere, mediante la Casa editrice, l'iniziativa romana, nell'ottica di una
attenzione ai fermenti culturali e sociali del nostro territorio. Hanno infatti
aderito, con il CineClub "Vittorio De Sica" e il Cinit (Cineforum Italiano),
anche BasilicataCinema, Millennium Network e il Cineclub "Pasolini". (EditricErmes
- Potenza)
"Schermi
Riflessi fra cinema e televisione" di Armando Lostaglio (EditricErmes).
Considerazioni di Juan Carlos Gallici (Univ. Cattolica Rosario, Argentina)
E'
un piccolo libro impietoso -appena 66 pagine- che con stile vivace e persino
ironico mette sotto esame le scelte del nostro sistema cine-televisivo e la sua
validità etico-sociale nel "comunicare".
Armando
Lostaglio, tra ottobre 2009 e luglio 2010, si è piazzato taccuino in mano di
fronte a schermi grandi e piccoli per intercettare l'anima dell'impianto
cine-televisivo italiano e cogliere nei fatti gli standard qualitativi del
nostro sistema di comunicazione globale. diffidente curiosità. Così è nato
questo insolito e raro monitoraggio del mezzo mediatico e di quanto le nostre
reti cine-radio-televisive unilateralmente propinano ai cittadini italiani.
Nelle 47 schede-riflessioni che compongono il
libro, Lostaglio coglie le macro e le micro falle di programmi, personaggi,
situazioni apparentemente trascurabili di comunicatori protagonisti, comparse e
comprimari. Osservatore acuto, caustico, ironico, lucido e incalzante, la sua
ricerca metodica va oltre la materialità degli schermi per cogliere i segreti
riflessi di quell'organismo mediatico in cui si muovono dispensatori di verità
e di menzogne, di cose ottime, buone e
lodevoli e di altrettante brutte, pessime e biasimevoli. Ogni pagina è un
campione di trivialità, sciatteria, ignoranza, cattivo gusto e, spesso, anche
di inganni e mala fede.
In
quest'ottica, nel libro di Lostaglio si intravvedono orizzonti molto critici
circa la nostra cultura mediatica afflitta da sintomi di evidente asfissia:
scarsità di idee, abnorme spazio all'intrattenimento di basso profilo
sconfinante nella superficialità, che ha smarrito i propri ideali e rinunciato
ai propri obiettivi, sempre più bisognosa di risorse, soggiogata dal potere spesso
corrotto e corruttore, non sempre vicina ai valori del servizio, sempre più
spinta a compromessi e cedimenti alla ricerca del successo facile in nome di
quel parametro assai poco attendibile che si chiama share.
Ne
scaturisce la diffusa convinzione circa la crescente distonia, ormai
strutturale, tra produzione e cultura, tra comunicazione e cittadini. In fondo
si intravvede la crisi di contenuti e, spesso, la assenza di un vero e doveroso
progetto culturale. Elementi questi intimamente legati ed ontologicamente
dipendenti da meccanismi sociali primari che affondano le proprie radici in
fattori indiscussi e consolidati come sono la nostra storia, le tradizioni,
l'ambiente, la politica, l'economia, la religione ecc.
Il
crisma, "la cifra" lostagliana che permea questo libro è quindi farci capire
che il sistema è a rischio e che ha bisogno di aggiustamenti, aggiornamenti e
correzioni. Vediamo troppe cose spurie, che disturbano, che urtano il buon gusto, che mortificano e
irridono il senso comune della comune gente, che si investono ingenti risorse
in banalità senza una accettabile proporzione tra costi e ricavi in termini
culturali e crescita del Paese e infine, che purtroppo i mezzi di
comunicazione, per la loro forza ed efficacia, vengono manipolate con sistemi
non idonei e per fini che non sono quelli propri del sistema.
Lostaglio,
da raffinato introspettore sociale quale è, attraverso un variegato campionario
di trasmissioni (rigorosamente identificate) individua tanta trivialità,
cattivo gusto, ignoranza, mancanza di educazione e di semplice buona fede; ci
fa vedere dove siamo arrivati e quale sia oggi la "soglia di sensibilità e di
percezione" di cui parla nella Prefazione don Ermis Segatti. Soglia che
all'occorrenza sottilmente si sposta secondo interessi e convenienze del tutto
aliene al ruolo fondamentale che cinema e televisione hanno per intrinseca
natura, vocazione e per finalità istituzionale. Riflessioni oggettive come
quelle delle pagine di Lostaglio, non sono campate in aria ma desunte dalla
realtà quotidiana che gli schermi riflettono e che sono avvisaglie di uno
stato di rischio salute che avrebbe
bisogno di specifica attenzione.
L'Autore
rafforza queste sue convinzioni con autorevoli citazioni (Bertolucci, (5)
Pasolini, Morante pag 14-15) e ricorre
anche a paragoni e situazioni grottesche quali quello tra il maestro Alberto
Manzi e Bruno Vespa (15) ironizzando su situazioni discutibili, se non
negative, sullo schermo, quali quelle di Dell'Utri, di Corona, di Emanuele
Filiberto (18), e la divertente richiesta del produttore di cine-panettone per
accedere ai fondi pubblici in quanto cinema di interesse culturale (20).
Sottolinea l'asservimento e la diseducazione che certi programmi propinano al
pubblico più debole ed incauto come sono giovani e bambini (12-13).
Ma
non tutto è negativo nella TV di Lostaglio. A pag. 21 ci lascia un commosso
ricordo di Beniamino Placido e a p.23, un plauso per un servizio di Geo&Geo "tecnicamente perfetto nei tempi
e nel montaggio" (23). Ma non mancano le invettive anche violente come in
"Risorse umane" che la dice lunga sull'opinione di Lostaglio circa la cultura
sociale italiana e circa l' enturage che la produce, la gestisce, la svuota, la
dileggia e la distrugge, (a spese del Paese)
(25). In
una riflessione circa "La poetica di Blob", pacata serena, sostanziosa, verso
la fine sbotta la sua indignazione verso un programma vuoto, ("Il più grande")
fuorviante, idiota. Che apostrofa come esecrabile!
Non
c'è dubbio. E' evidente che per Lostaglio il problema c'è. Siamo in declino.
Esiste e non da ora. E ciò che è allarmante, si auto riproduce, si
autopromuove, si anestetizza, si banalizza, si ridicolizza. Forse si dirà
(provinciale autopromozione) che il nostro sistema di comunicare cultura in
senso è tra i migliori del mondo. Forse.
Ma credo che Lostaglio nel suo libro non vuole fare graduatorie, ne puerili paragoni. Vuole solo
dirci che il problema c'è ed è serio. Ed è un problema di fondo anche se è più che ovvio che non tutto il
comparto cine-televisivo italiano sia passibile di tale severo giudizio.
Infine,
"Schermi Riflessi" ci riflette le qualità di un professionista libero ed
esperto che, agli strumenti del mestiere, associa molta esperienza, sapienza,
misura e coscienza. E' per questo che Lostaglio non straripa, non porta, forse
volutamente, la sua ricerca dietro gli schermi. Solo sui riflessi. Non entra
nei "massimi sistemi" delle mega produzioni, altissime direzioni e, tanto meno,
nella filosofia che ci sta dietro. Lostaglio non è un moralista e non si misura
con le frontiere teleologiche, sociologiche, antropologiche e comportamentali
su cui poggiano. Ha evitato con cura gli
insidiosi scogli filosofici, sociologici, etici e morali insiti in ogni sistema
sociale complesso. Si è mantenuto sulla dritta del professionista: i fatti, e
solo "questi" fatti.
Qualcuno
potrebbe addebitargli questa posizione di neutralità. Sarebbe ingeneroso. Ma
non è escluso che l'Autore di "Schermi Riflessi" abbia in serbo lo scandagliare
ancora questo comparto con altra o altre pubblicazioni. Ce lo auguriamo! Per il
momento ci appare evidente che, di fronte alla veloce evoluzione della
comunicazione globale, il libro di Lostaglio è un severo richiamo al realismo
costruttivo e chiara chiamata di correo a coloro che in Italia hanno
responsabilità direttive ed operative.
Roma,
28 gennaio 2011.
Pietragalla
nelle immagini di Luigi Paduano di Armando Lostaglio
E' una eredità lontana ma pur viva quella lasciata dai viaggiatori del
Sette-Ottocento in Basilicata. Rampolli dell'aristocrazia illuminata che dalla
lontana Europa sceglievano di ripercorrere i solchi della Magna Grecia e di una
natura incontaminata, come nel Vulture o sul Pollino. Uomini di un tempo
lontano, studiosi come Edward Lear, Cesare Malpica, Francoise Lenormant e
tantissimi altri che si avventuravano per i sentieri scoscesi di queste terre
per ammirarla e raccontarne gli esiti. Ne scrivono benissimo oggi storici
moderni come Settembrini e Strazza. Ed ora, sulle tracce di quei viaggiatori,
una nuova classe di intellettuali si
addentra per i nostri territori, nei nostri borghi, fino a carpirne
testimonianze probabilmente poco "visibili" agli stessi residenti. Una
rinnovata aristocrazia del pensiero, lungi da condizionamenti di qualsiasi
natura, che sceglie di guardare con occhio attento e felice la nostra realtà,
ricche di tradizioni ancora (per fortuna) intatte. E' il caso di un neofita
regista triestino, Luigi Paduano che, accolto da amici di vecchia data di
Pietragalla, talvolta spende le sue ferie alla scoperta di questa regione,
affascinato dai suoi colori. Pieno di stupore, Paduano ha già girato un
magnifico reportage (in sedici noni) su Craco e di recente ha completato il
montaggio di "Pietragalla". Il documentario sul paese fantasma circola in rete
mediante Cinearte-online (rivista anche web diretta da Vittorio Di Giacomo e
Mara Pacella, del Cinit), che potrà di certo partecipare a festival
sull'ambiente. C'è candore nelle immagini di Pietragalla; nel borgo lucano (che
sembra un tratteggio di Umbria) si fa accompagnare da un anziano in una mattina
d'estate, e scopre insieme le prelibatezze di una antica cucina mai desueta, il
matrimonio di un tempo e quello di oggi, case e vicoli ben ricostruiti, ma
disabitati. Paduano si immerge nel luogo, le sue immagini lo accarezzano, è
innamorato della Basilicata e della sua recondita bellezza.
Ha una mano
leggerissima, lui che ha svolto per anni la professione di chirurgo pediatra.
Eppure è un eccellente poeta di immagini. E' una passione, ma forse è di più. Lo
accompagna da sempre uno spirito di osservazione che, mediante l'esperienza
della macchina da presa, lo coinvolge sempre più nella ricerca di radici che
sembrano perdute. Vive da lungo tempo con la sua famiglia a Trieste, ma
conserva per la Basilicata un amore viscerale, e appena può, si aggira nei
nostri borghi, traendone ispirazioni felicissime. Come ha fatto per Craco, la
cittadina fantasma abbandonata dai suoi abitanti agli inizi degli anni '70
perché a rischio di frana, Paduano, rivisita Pietragalla in un documentario di
mezz'ora, la ritrae con fervida luce, conferendone un carattere di storia e
forse di nostalgia. Ma in Paduano vige più un'operazione di memoria che di
nostalgia. Una memoria dalle radici lontane, come in Lear e forse in Goethe.
Oggi, una Lucania con la macchina a spalla, insieme a Paduano.
I
festeggiamenti per San Biagio a Rapolla di Armando Lostaglio
Rapolla.
E' vivace e commossa la partecipazione popolare in una comunità in festa per la santa reliquia di San Biagio, giunta
da Roma per i fedeli di Rapolla. Il vescovo della Diocesi, mons. Gianfranco
Todisco, ha manifestato l'importanza della testimonianza dei Santi nella
cultura popolare. Le campane della seicentesca chiesetta dedicata al Santo
patrono, rintoccano in continuazione: spiccano nella chiesa due antichissimi
affreschi, ben conservati. Fra i momenti di maggior emozione durante le
celebrazioni, spicca il concerto del quintetto del Vulture "Vioclabass" - per
iniziativa del CineClub De Sica Cinit
- che ha offerto emozioni particolari nella duecentesca cattedrale, con musiche
di profonda spiritualità, alcune tratte da film come "Mission" del maestro
Ennio Morricone. Con le musiche anche un recital di poesie sacre declamate da
Chiara Lostaglio, con brani di Suor Juana Inés De La Cruz, Clemente Rebora e
Dickinson, per esaltare la spiritualità dell'evento; una poesia in vernacolo
lucano, composta da Ernesto Grieco dedicata a "Sant Vlas", come chiamano il
Santo in lingua popolare. Ed ancora le corali San Francesco e Santa Cecilia, ad
esaltare la fede dei Rapollesi per il loro San Biagio, il taumaturgo vescovo
armeno e martire del quarto secolo. Questa la Lode in vernacolo del Vulture, di Grieco dedicata
al Santo, protettore della gola:
LODE A SANT
V'LAS
Abbòl'
la merl' p' Sant Vlàs'
e
chian' chian' lu vìrn'
s'arr'tìr'
a la cas'.
Vita
nov' s' sent
ndò
l'ar'j' e p' nderr
a
Sant Vlàs' ten' la frèv' la terr.
S'accorc'
la nott p' Sant Vlàs'
e
ndò lu jurn' chiù lungh
m'renda
tras'.
A Sant Vlàs' s' pregh ch i pugn' mbìtt
s' cant' la
l'tanìj' ch la forz' r' lu cor'
ca
fin' ncil' lu cant' fac' abbulà
p'cchè
Sant' Vlàs' la gòl'n'adda b'n'rì
e
a chi ten' abb'sugn' l'adda uarì.
E
ra mir'ch vetust
e
uaritor'dott
uarisc'
la gòl',la gott
e
r' la pell r' crust' e r' mbodd.
Ra
secul' ormaj'
tanta
gent devot'
a
pr'garl' e venerarl' ch fed' vaj'
ndò
la chìjs' a Rapodd.
Ettore
Cinnella rilegge "Carmine Crocco, un brigante nella grande storia"
Rionero in V. E' arrivato con alcuni parenti in un pomeriggio
piovosissimo a Rionero, città a lui cara per studi storici ed empatia. Ettore
Cinnella, docente a Pisa di storia contemporanea e di storia d'Europa
orientale, non si aspettava una accoglienza simile. Armando Lostaglio, che ha
promosso la presentazione in Palazzo Fortunato del recente libro su Carmine Crocco,
ha pensato bene di accompagnare il professore, come prima tappa, proprio nella
"Taverna r' Crocc", ricreata da Franco Loriso dalle parti della antica
abitazione del brigante, e che ne fa il covo ideale: una cantina piena di
cimeli d'epoca, tipici di una storia fatta di miseria e di vessazioni.
Nel covo
museale sono ormai molti i visitatori che in questi anni si affacciano per guardare le vicende postunitarie in maniera più diretta. E qui
Cinnella ha trovato anche materiali e testimonianze oggetto di studio. Perché
lo storico (originario di Miglionico) ha attraversato con i suoi scritti le vicende meridionali, (oltre che quelle russe), e pubblicato
anche "Il grande brigantaggio (1861-1865): una ferita nella storia d'Italia".
Sempre per Della Porta editore ha dato alle stampe questo prezioso testo
"Carmine Crocco un brigante nella grande storia" (pagg. 177) una narrazione
romanzata della vita del brigante rionerese di cui, proprio durante le
celebrazioni unitarie, si auspica che la cultura nazionale ritagli spazi
necessari ad una contestualizzazione del fenomeno, lungi da futili retoriche.
Pertanto, come ha pure
sottolineato il sindaco Antonio Placido durante la presentazione, è il caso di
confermare le radici sociali del fenomeno, alimentato certo dalla spaventosa
miseria dei contadini e dall'abisso che divideva galantuomini e cafoni, gente
di fatica la cui unica aspettativa di vita era avere una famiglia, e lavorare
dall'alba al tramonto, soltanto per sopravvivere.
Ignoranza e miseria,
invecchiamento precoce e migrazioni: su questo fronte, il critico materano
Gianni Maragno ha tracciato, durante l'incontro con l'autore, un percorso
storiografico circa la cosiddetta prima grande tragedia nazionale, come
sostiene appunto il dicente di Pisa. Una ricostruzione, quella di Cinnella, che
affronta i documenti di chi Crocco conobbe in maniera diretta; si va dalla
biografia del capitano Massa fino a toccare gli studi dei lombrosiani circa la
criminalità antropologica. Ma a Cinnella, probabilmente, interessa anche rileggere
con passione civile una personalità, quale quella del "Napoleone dei briganti"
(come venne definito), che sapeva leggere e scrivere (rara eccezione per quegli
anni), che ottenne sbalorditive vittorie militari, seppur a capo di bande di
irregolari, cui, tuttavia, diede a suo modo una certa dignità e disciplina. In
bilico fra leggenda e cronaca, Lostaglio (che ha condotto il dibattito) ha
ricordato che il saggista Beniamino Placido aveva pure scritto del mito che
Crocco alimentava nelle giovani dell'epoca (un episodio della nonna dello
scrittore), in contraltare soltanto a quello di Garibaldi. Solo che la storia
ha preso pieghe diverse, soprattutto nella sua divulgazione: briganti gli
sconfitti ed eroi nazionali i vincitori.
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